Interconnessi
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consenso, vera contraddizione della democrazia. E tutto finisce con il dipendere dal-
la rettitudine, dall’integrità, dalla moralità del singolo.
Infatti troppo spesso l’ansia della rielezione porta alla schiavitù del consenso,
per cui il politico decide di farsi portatore di un interesse particolare, per avere
garantito un bacino elettorale più o meno grande: i lavoratori piuttosto che gli
industriali, gli agricoltori piuttosto che i cacciatori. Ma questo significa rinnegare
il fine stesso della politica, che è luogo di mediazione tra interessi contrapposti;
il che non significa che la politica deve diventare sede di trattativa permanente
tra il politico (o il partito) che difende i lavoratori e il politico (o il partito) che tu-
tela l’impresa. Significa al contrario che chi ha la responsabilità delle scelte deve
valutare gli interessi in gioco e capire qual è la via migliore per la comunità, in
un’ottica complessiva.
Alberto Faustini
Mi pare una visione edulcorata. Si può prescindere dal consenso?
Luca Zeni
In democrazia è giusto che siano i cittadini a decidere, il consenso è il metro di valu-
tazione, è necessario. Il nodo è come si cerchi tale consenso. Sono convinto che se
vogliamo uscire dalla crisi di credibilità che il sistema politico sta vivendo, si debba
cercare di spiegare ai cittadini le ragioni delle scelte, senza per forza dover cavalcare
le singole istanze particolari: credo che alla fine avremmo delle belle sorprese, è ora
di finirla di pensare che “la gente” capisce solo le grida dei demagoghi, ci sono molti
esempi contrari.
Dopo di che, sulla impostazione di fondo, ci sono due rischi contrapposti.
Da un lato ci sono i portatori di una verità assoluta, coloro che non hanno bisogno
di confrontarsi con gli altri (o lo fanno fino a che viene dato loro ragione); spesso
appartiene a questa categoria chi si rifà a sistemi di pensiero “chiusi”, a ideologie
onnicomprensive che forniscono schemi, spesso semplici e rassicuranti, di leggere
la realtà. Così alcuni esponenti di un cattolicesimo conservatore, così alcuni marxi-
sti nostalgici di un tempo che non c’è più, così gli attivisti dei partiti verticistici che
eseguono gli ordini del capo.
Dall’altro lato ci sono coloro che prediligono governare, sempre e comunque, per
cui orientano le loro decisioni e le loro scelte in base a sondaggi e marketing elet-
torale, di solito proclamandosi paladini di un centro geografico della politica che
vorrebbe essere l’“ago della bilancia”, così da poter incidere ben oltre il vero peso
elettorale.
Una variante di quel mantra che è “la politica del fare” è “la politica del governare”.
Alberto Faustini
E il welfare? È possibile conciliare l’attenzione all’economia con un nuovo concetto
di solidarietà?
politica
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