Sabato scorso la discussione al tavolo a cui ero seduto, durante un matrimonio, si è indirizzata ad un certo punto sul tema, non certo originale, della “politica sporca”. Il mio interlocutore criticava il sistema, e concludeva che tutti i politici guardano solo al proprio tornaconto personale. Aggiungeva peraltro che forse la situazione è migliore nel sud Italia, perché “la mafia almeno ha un codice d’onore”. Il rischio, in queste discussioni, è che lo sconforto prevalga sull’indignazione.
La crisi della politica è una crisi di visione, di capacità di interpretazione della realtà: cosa stiamo facendo? Quale comunità stiamo realizzando? Quale mondo vogliamo lasciare alle prossime generazioni?
Il sistema economico e sociale, troppo complesso per essere compreso, troppo incontrollabile per offrire un senso, fa si che la politica si rifugi nella propaganda del “fare”, ma la mera prassi è devastante sulle coscienze e nasconde gli obiettivi reali che si vogliono raggiungere.
Sempre di più, in questo contesto, abbiamo bisogno di testimonianze, dell’esempio di persone che rifiutano la logica del qualunquismo e della disillusione, e che continuino semplicemente a fare il loro dovere.
Per capire che migliorare le cose è possibile.
Angelo Vassallo era una di queste persone. Un uomo che si è impegnato, e non ha accettato di chiudere gli occhi di fronte a chi guadagna speculando sul territorio e quindi sulla pelle dei cittadini onesti.
Ritorna uno dei maggiori problemi italiani, l’utilizzo del territorio da parte della criminalità organizzata per fare speculazione, riciclare denaro sporco, guadagnare in modo facile, ed in quest’ottica, come ci ricorda oggi il giudice Raffaele Cantone, oggi “un sindaco di un piccolo comune che abbia investimenti in corso sul suo territorio conta più di un parlamentare”, per chi sul quel territorio vuole fare affari.Ecco perché è fondamentale oggi avere amministratori onesti, a tutti i livelli, e non disponibili ad assecondare condotte illegali. Ma ancora più importante è non lasciare sole queste persone: soltanto se la cultura di una comunità, di ognuna delle persone che la compongono, ci porta a rifiutare il qualunquismo, la disillusione, la diffamazione come strumento di delegittimazione e a non chiudere gli occhi di fronte a quanto non funziona, allora avremo fatto il nostro dovere.