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Ha vinto la linea Schlein, ha perso la linea di Bonaccini, che ho sostenuto con convinzione.

Prima di tutto un ringraziamento a chi, tra i sostenitori di Bonaccini, si è impegnato con passione.

Perché la politica è passione prima di tutto, e poi capacità di cercare sempre nuove soluzioni.

Sono state decine le elezioni aperte, con preferenza, a cui ho preso parte in prima persona, e i risultati sono sempre stati positivi, senza alcuna eccezione.

Sono stati tanti anche i congressi a cui ho partecipato attivamente, sostenendo sempre il candidato con la linea più riformista, e – con l’eccezione di Renzi – il candidato che ho sostenuto, mai dato per favorito, ha sempre perso (nel tempo: Letta, Franceschini, Martina).

La giustificazione che mi sono dato è che dentro la base militante del Pd la sensibilità riformista non è mai stata maggioritaria; questa volta ero però convinto, come molti, che lo spessore di Stefano Bonaccini portasse ad una svolta. Ed invece è accaduto il contrario, ed il PD ha imboccato la strada più massimalista della sua storia.

Ci sarà tempo per analisi approfondite, ma alcune riflessioni queste primarie consentono di avanzarle.

Una forza politica ha sempre un suo nucleo più ideologico, ed una fascia di espansione, che nel corso del tempo è aumentata molto: la cosiddetta mobilità dell’elettorato. Ad ogni elezione vediamo ormai forze politiche crescere e calare molto velocemente (pensiamo alla Lega, in pochi anni dal 4% del 2013 al 34% del 2019 al 8% del 2022). Il Pd ha uno zoccolo costante più consistente, ma fatica ad espandere la sua area in maniera significativa.

Sono molti i fattori che incidono sul voto: il contesto socio economico, le leadership, i temi programmatici, i messaggi simbolici.

Questo congresso del Pd ha visto contrapposte non soltanto due sensibilità diverse all’interno di una casa comune, ma due visioni lontane: sulla società, su chi si vuole rappresentare, sul modo di fare opposizione. Nella fase tra gli iscritti ha prevalso largamente Bonaccini, mentre il voto aperto ha ribaltato l’indicazione, cosa mai avvenuta prima. Cosa è accaduto?

Certo, qualcuno evidenzia l’impegno attivo di “forze esterne”, in particolare della sinistra extra Pd. Ma questo faceva parte delle regole del gioco, o per accordi espliciti – pensiamo ad Articolo 1 – o perché forze locali si riconoscono a livello nazionale nel PD; pensiamo, in Trentino a Futura.

Certo, altri denunciano la partecipazione, scorretta, di forze civiche centriste che hanno sostenuto la Schlein per “spingere” il Pd a sinistra e allargare il loro spazio, o per condizionare il voto per le segreterie regionali, come accaduto in Trentino. Comportamenti certamente di basso profilo e da censurare.

Però a mio avviso non è questo il vero punto politico. La questione è che su 5.400.000 elettori del Partito Democratico alle disastrose elezioni politiche del settembre 2022, sono andati a votare alle primarie poco più di un milione di persone, una soglia che si temeva di non raggiungere ma che rappresenta il livello più basso della storia del PD.

Di queste poco più della metà ha scelto – in maniera totalmente legittima – la Schlein come segretario. Il rischio che intravedo è che lei – per leadership e messaggi simbolici – sia riuscita a rimotivare e rientusiasmare un gruppo di persone importante, che si riconosce in un messaggio più radicale, ma che quello stesso messaggio riduca la fascia di espansione del partito, ovvero: alle elezioni vere quel tipo di linea è meno attrattivo per la persona comune. Quante volte ci siamo detti che il problema del PD era uscire dalle ZTL? Quante volte abbiamo sentito che il PD è percepito come quello che si occupa solo di diritti civili? L’impressione è che sia stato mobilitato soprattutto quella parte di elettorato.

Al contrario Bonaccini, e chi, come me, lo ha sostenuto, non è riuscito a mobilitare allo stesso modo tutto il resto di elettorato, che ha preferito non partecipare direttamente, ma che probabilmente si sente più in linea con l’impostazione di Bonaccini.

Gli Stati Uniti, che spesso anticipano processi che si estendono poi al resto dell’occidente, da alcuni anni vivono un’estremizzazione delle posizioni politiche, con uno scontro che ha raggiunto livelli preoccupanti per la stessa pace sociale. L’auspicio è che non si segua quella strada, pensando di contrastare la destra ponendosi ideologicamente in continua contrapposizione, ma che ci si concentri sulla proposta di sviluppo complessiva, non su battaglie di bandiera. Questo sia perché, come dimostrano gli Stati Uniti, quella linea marginalizza ed è perdente, sia – soprattutto – perché è sbagliata dal punto di vista culturale, filosofico, sociale, prima ancora che politico.

Ho apprezzato molto lo stile con cui Bonaccini ha riconosciuto la sconfitta, mettendosi semplicemente a disposizione della nuova segretaria. Rimango convinto che fosse l’unica figura su cui investire come candidato Premier di tutto il centrosinistra, e questa sconfitta certamente indebolisce quella prospettiva.

A livello trentino un ringraziamento ad Alessandro Betta e alla sua squadra, per il coraggio con cui hanno affrontato una sfida che era difficilissima sin dal principio; complimenti anche al suo omonimo Dalrì, nuovo segretario locale, che è riuscito a tenere insieme una squadra eterogenea – che credo sia riuscita anche a sfruttare un po’ del vento nazionale – dimostrando un’ottima capacità tattica, che in politica è una virtù.

A chi vince – ad ogni livello – saper dimostrare di saper tenere insieme, andando oltre le semplificazioni della campagna elettorale, e cogliendo la necessità di un Pd che per essere vincente e convincente in maniera ampia, non può che essere inclusivo e riformista.