Interrogazione
“REDDITO DI CITTADINANZA ED AUTONOMIA PROVINCIALE”
Dopo una lunga – e per alcuni versi difficile ed anche oscura – gestazione politica, allo scadere dei tempi supplementari ed utilizzando strumenti decisamente inusuali come l’assenza di dibattito nelle Commissioni legislative, è finalmente giunta ad approvazione la Legge finanziaria dello Stato per l’anno 2019, depauperando peraltro il Parlamento delle sue funzioni e del suo ruolo e riducendolo a semplice luogo di espressione del consenso più fideistico, anziché dell’articolato confronto democratico.
Con tale atto politico si è venuto così ad assicurare, non solo il rispetto di alcuni obblighi assunti dal Paese con l’Unione Europea, quanto la copertura finanziaria delle più stravaganti promesse elettoralistiche, per accontentare le istanze, più o meno clientelari, dei due litigiosi partner dell’attuale maggioranza parlamentare, attraverso uno straordinario lavoro di tessitura di emendamenti, subemendamenti, commi, lettere e quant’altro può aiutare a trasformare il più rilevante atto legislativo della democrazia in una sorta di “pozzo di San Patrizio”, dal quale tutti gli attori della maggioranza possono attingere per soddisfare amici, gruppi di pressione, interessi di parte, lobbies e clientele di varia natura, monetizzando in tal modo il consenso elettorale.
E’ in questo quadro – a ben vedere desolante per chi propugna il cambiamento, riducendo poi lo stesso ad un continuo riavvolgere il nastro della storia spacciando per nuove scelte e progetti mutuati dal passato – che dovrebbero esserci anche i fondi per assicurare, provvisoriamente e solo per un breve periodo, il tanto decantato “reddito di cittadinanza”, cioè una misura che già sta mostrando tutte le sue caratteristiche assistenziali e che si rivelerà, nel tempo, uno straordinario bluff in danno agli italiani.
Stando poi alle sempre altisonanti dichiarazioni del nostro logorroico “Vicepremierato a due teste” – figlio di una originalissima declinazione padan – stellata della democrazia in grado di sostituire nei momenti topici il Presidente del Consiglio dei Ministri ormai ridotto a passiva comparsa – forse fra tre mesi e quindi ad un anno di distanza dalle elezioni politiche del 4 marzo scorso, coloro che ne avranno diritto – e la cui definizione è ancora in via di definizione – dovrebbero poter iniziare a percepire il “reddito di cittadinanza”.
Se la norma presenta già molti lati oscuri, come opportunamente evidenziato anche in Trentino dalle Organizzazioni sindacali, ci si chiede come, nonostante l’ottimismo obbligato da contratto dell’Assessore di merito, andrà a realizzarsi la norma nel concreto della realtà locale. Certamente da noi la situazione è molto più avanzata rispetto a larga parte del resto del Paese, in virtù anche all’azione preziosa di quell’Agenzia del Lavoro che già dai primi anni Ottanta dello scorso secolo e grazie all’intuizione lungimirante del Presidente della Provincia di allora Flavio Mengoni, eppure l’impressione di molti “addetti ai lavori” è che ciò non sia sufficiente.
Molte questioni infatti necessitano ancora di chiarimenti tecnici da parte del governo nazionale, come nel caso del requisito dei dieci anni di residenza che non si comprende se continuativi o meno oppure in quello delle evidenti disparità di trattamento per i “single” rispetto alle famiglie numerose, con svantaggi concreti per quest’ultime secondo quanto previsto dalla “scala di equivalenza” o, ancora, nella mancata considerazione della diversità del costo della vita fra le varie macroaree geoeconomiche del Paese, ovvero nord, centro e sud.
Accanto a ciò inoltre, pare del tutto assente, a livello provinciale, una strategia politica chiara ed atta a valorizzare le possibilità offerteci dall’autonomia e la loro integrazione virtuosa con i provvedimenti nazionali, al fine di proporre un modello ancor più avanzato e soddisfacente, evitando al contempo le incertezze nelle quali pare ancora dibattersi il progetto statale. In altre parole insomma, il Trentino dovrebbe produrre innovazione, avvalendosi senza dubbio dei soggetti già operanti per il “reddito di garanzia”, ma soprattutto elaborando nuove politiche d’approccio ad un tema che rischia altrimenti di tradursi solo in una manovra “una tantum” e nel più puro stile assistenzialista. Forse alcuni esempi aiutano a meglio comprendere. A parere dell’interrogante la Provincia dovrebbe intervenire – sentito come sempre in anticipo il Ministro Salvini o i suoi “fidi scherani” locali che altrimenti il Presidente della Provincia nulla oserebbe – a sostegno, ad esempio, delle famiglie numerose o nei riguardi degli obblighi di accettazione di un posto di lavoro nell’arco di 250 chilometri, tenendo presente che gli stessi chilometri sulle nostre strade non sono affatto uguali a quelli percorsi nelle geografie di pianura. Ma come intervenire? Forse utilizzando quei fondi che si andranno a liberare nella differenza fra “reddito di cittadinanza” nazionale e “assegno unico” provinciale, voluto dalle tanto vituperate Giunte precedenti a quella attuale.
Ciò che servirebbe insomma è una originale capacità progettuale, anziché la pedissequa ripetizione “tout court” dell’azione di governo romana, perché è così che si difende l’autonomia, rendendola cioè strumento operativo quotidiano e non mera enunciazione di principi general-generici.
Sulla stampa locale però il Presidente della provincia si affretta a smentire categoricamente la possibilità di implementare il “reddito di cittadinanza” con ulteriori sostegni locali, affermando invece che le risorse risultati dal differenziale fra gli interventi di Stato e Provincia saranno assegnati genericamente per “natalità ed investimenti”. Ma cosa significa? Siamo forse giunti già al “premio per le famiglie prolifiche” di mussoliniana memoria? Da un Presidente della Provincia, che tanto si appella al cambiamento e che si erge costantemente a giudice inappellabile del passato, ci si attenderebbe ben altro che vaghe promesse e ipotesi di circostanza, perché governare una macchina complessa come quella della nostra autonomia impone visione ampia e di lunga deriva; impone il ricorso costante alla difficile tecnica della programmazione; impone uno sguardo articolato sui fenomeni e non la semplice allocazione improvvisata di risorse resesi disponibili.
Tutto ciò premesso, si chiede cortesemente di poter interrogare la Giunta provinciale per sapere:
1) se è intenzione della Giunta provinciale, nel recepire ed applicare sul territorio provinciale le norme relative al “reddito di cittadinanza”, definire da subito i tempi previsti di erogazione dei benefici;
2) se, alla luce delle molteplici considerazioni politiche ed economiche venute alla luce nel dibattito sul “reddito di cittadinanza”, la Giunta provinciale non intenda rivedere le sue posizioni ed avvalersi degli strumenti dell’autonomia speciale per migliorare, laddove possibile, la norma nazionale, rendendo più efficiente ed efficace il “reddito di cittadinanza” in Trentino;
3) se, nel caso in cui il “reddito di cittadinanza” fosse incompatibile con l’indennità di disoccupazione come paventato dall’I.N.P.S., la Provincia ha pensato ad interventi di qualche altra natura per sostenere i cittadini durante il periodo di ricerca dell’ occupazione, posto che gli ammortizzatori sociali hanno ancora una loro grande attualità nel contesto delle politiche del lavoro.
A norma di Regolamento si richiede risposta scritta.
Distinti saluti.
- avv. Luca Zeni -