Il consigliere del Partito Democratico del Trentino Luca Zeni ha depositato ieri una dettagliata interrogazione al presidente del Consiglio provinciale sulla mostra “Il Cuore divino di Gesù – Das göttliche Herz Jesu”, inaugurata nei giorni scorsi negli spazi espositivi di Palazzo Trentini.
“Non è in discussione la consolidata attività espositiva di Palazzo Trentini – analizza il consigliere Zeni – ma il merito, l’opportunità e le modalità di questa specifica esibizione”.
Alla base delle perplessità del consigliere Democratico, il punto di vista parziale e il pericoloso spirito celebrativo dell’esperienza pantirolese hoferiana, spacciata come fondamenta dell’edificio autonomistico quando è invece proprio con l’epoca napoleonica che vengono introdotte preziose riforme, e ancor più l’inedito e ideologico schieramento delle Istituzioni dell’autonomia speciale su un ambito di carattere confessionale.
“Kaswalder ha scelto di invertire brutalmente una consuetudine condivisa e diffusa ovunque in questo Paese – conclude Zeni – quella per la quale le Istituzioni vanno mantenute in una dimensione di laicità super partes, seguendo la grande lezione degasperiana, ed evitando di posizionarsi in favore di un credo anziché di un altro. Con queste sue azioni, Kaswalder sembra dimostrare di non aver ancora capito che Palazzo Trentini rappresenta tutti i cittadini, siano essi religiosi, credenti o meno.”
Nell’interrogazione il consigliere del PD chiede infine conto delle spese e delle consulenza volute dal presidente del Consiglio Provinciale, spese che hanno fatto lievitare i costi della mostra fino a circa 50.000,00 euro
Interrogazione n.
DOV’E’ FINITA LA LAICITA’ DELLE ISTITUZIONI AUTONOMISTICHE?
Inaugurata con bandiere e rappresentanze “piumate”, si è aperta nei giorni scorsi e negli spazi espositivi di Palazzo Trentini, una originale mostra plurilingue dal titolo “Il Cuore divino di Gesù – Das göttliche Herz Jesu”, fortemente voluta dal Presidente del Consiglio provinciale, come sottolinea una puntuale e dettagliata nota dell’Ufficio Stampa dello stesso, per “far conoscere ai trentini e ai giovani in particolare le loro radici, la loro storia e le fondamenta dell’edificio autonomistico stesso”.
Seppur lodevole nell’intento didattico, quest’esposizione, con il suo secco riferimento pantirolese all’esperienza hoferiana, offre anzitutto, più che un contributo di conoscenza alla storia locale, un punto di vista parziale e pericoloso, perché veicola, fra altri messaggi, anche una distorta lettura dell’epoca napoleonica che introduce in quasi tutta Europa – e quindi anche qui – riforme preziose ed ancora attuali, come quelle legate all’anagrafe ed ai matrimoni civili; al nuovo ed omogeneo sistema di misurazione; alle riforme essenziali del Codice Civile ed allo sviluppo dell’agricoltura e dei commerci nelle zone alpine, tanto per citare alcune questioni non proprio irrilevanti. Quanto poi alle “fondamenta dell’edificio autonomistico”, giova rammentare come lo stesso probabilmente poggia sulla cultura dell’autogoverno delle risorse del territorio; su di una autonoma organizzazione sociale; su di una specificità etnico-culturale, concetti quasi del tutto anteriori all’epoca bonapartista ed alla relativa rivolta hoferiana e, buon ultimo, sull’inclusione del Trentino nel quadro regionale in virtù dell’intuizione politica di Degasperi.
Fin qui alcune necessarie precisazioni.
Quello che più colpisce però, non è solo la pomposa cerimonia inaugurale e le retoriche dichiarazioni del Presidente, quanto piuttosto ciò che questa manifestazione rappresenta in termini appunto di inedito schieramento ideologico delle Istituzioni dell’autonomia speciale. Mai, fino ad oggi, il Consiglio provinciale aveva fatto una così netta e definitiva scelta di carattere confessionale, invertendo brutalmente quella condivisa consuetudine, diffusa un po’ ovunque in questo Paese, per la quale le Istituzioni in genere si sono sempre mantenute in una dimensione di laicità “super partes”, secondo la grande lezione degasperiana, evitando di posizionarsi in favore di un credo anziché di un altro, proprio perché esse rappresentano tutti i cittadini, siano essi religiosi, credenti o meno.
Si tratta evidentemente di una lezione che il Presidente del Consiglio provinciale ritiene del tutto superflua e superata, nel momento stesso in cui impone all’Istituzione consiliare non richieste esibizioni di confessionalità, peraltro pagate con denaro pubblico, richiamando come una sorta di “età dell’oro” il periodo della sollevazione antinapoleonica, quasi questo costituisse il crinale storico, religioso, politico e di appartenenza di un Trentino “prehoferiano” da dimenticare e da non iscrivere nel novero dei momenti formativi dell’identità plurale di questa terra ed un Trentino “posthoferiano” e leggendario, dedicato al Sacro Cuore, dove tutti vivono in armoniosa pace nel nome dei valori della restaurazione, della conservazione e di quell’immobilismo storico che, fra l’altro e con buon pace del Presidente del Consiglio provinciale, è una delle cause non secondarie della caduta del tanto vagheggiato impero asburgico.
Parlare di “Sacro Cuore di Gesù”, con evidenti finalità ideologiche, necessita anche di un accenno al significato del simbolo religioso in oggetto. Va infatti rammentato come la devozione viene fatta risalire, dalla storiografia religiosa, al Vangelo di Matteo (11, 28 – 29) “Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore”, mentre la sua introduzione nella religiosità popolare è ascrivibile ad alcuni grandi mistici medioevali tedeschi come Matilde di Magdeburg, Gertrud di Helfta e Matilde di Hackerborn. L’adorazione del Sacro Cuore ha poi alterne vicende ed una grande fioritura soprattutto nell’area francese ed in età barocca, fino alla promulgazione dell’enciclica “Annum Sacrum” con la quale il Papa Leone XIII consacra il genere umano al Sacro Cuore di Gesù.
Nello scorrere della storia, il simbolo viene poi ad assumere significati particolari, come quelli legati all’insurrezione cattolica degli “Chuanes” nella Vandea francese o come elemento inserito nella bandiera del regno di Spagna, adottato dai “carlisti” durante la guerra civile o, ancora, come elemento distintivo delle onoranze funebri militari americane, le stesse che stanno tanto in uggia al Presidente del Consiglio provinciale.
Si tratta quindi di una simbologia molto diffusa nel mondo, al pari delle congregazioni religiose che allo stesso fanno riferimento e che sono tredici maschili ed oltre settanta femminili e quindi non è pensabile ascrivergli un’esclusiva funzione di distinzione religiosa del Tirolo storico, dove peraltro la devozione del Sacro Cuore di Gesù è soprattutto legata alla dimensione agreste nel mondo di lingua tedesca, ben più che in quello di lingua italiana.
Non volendo affatto esprimere comunque giudizi di merito sull’esposizione di oggetti ed icone riferite ad un così alto simbolo religioso, al suo significato culturale, etnografico e sociologico (anche se colpisce il visitatore l’allestimento di una specie di altare profano nell’atrio di palazzo Trentini), qui ci si limita a richiamare, per l’ennesima volta, colui che dovrebbe essere il garante dell’imparzialità delle Istituzioni democratiche ad una concreta osservanza proprio di tale ruolo, evitando di mescolare, nel rispetto di entrambe, politica e religione dentro un appuntamento pubblico, finanziato peraltro con le risorse di tutta la comunità, perché ciò che sembra mancare, in modo macroscopico, è stata la valutazione circa l’opportunità di una simile operazione ideologica che forse tale non sarebbe stata se collocata in più consone sedi, come quella ad esempio del Museo Diocesano tridentino, ovvero in luoghi naturalmente deputati alla conservazione ed alla narrazione delle tradizioni religiose del Trentino, anziché in quella sede parlamentare dell’autonomia, chiamata per la sua natura a tutelare la laicità di sé stessa, ponendosi al di fuori delle differenze e dei dibattiti di natura religiosa e fideistica.
Cosa farà infatti il Presidente del Consiglio provinciale qualora in futuro gli venissero chiesti gli spazi espositivi per ospitare mostre sui simboli religiosi dell’Islam, dell’Ebraismo, dell’Induismo e via dicendo? Va da sé che dopo un simile precedente sarebbe del tutto impossibile negare tale concessione, aprendo però di fatto l’Istituzione a funzioni che non le competono e che non le spettano.
Ma se queste sono le obiezioni civili ad una pur sempre libera scelta, non può sfuggire ad una attenzione anche superficiale, il dispiegamento di consulenti e di costi che un tale evento ha comportato per le casse dell’Assemblea legislativa. Ben cinque consulenti diversi, quando nemmeno mostre più prestigiose ed ospitate anche in più noti musei si avvalgono di un così alto numero di collaborazioni consulenziali, per esporre oggetti, simboli e segni che, a detta degli stessi organizzatori, non hanno un grande valore economico, quanto solamente simbolico e rappresentativo.
Ma, in quest’ambito, stupisce ancor più che, per esibire pubblicamente tutto questo, non si sia trovato qualche professionista in materia espositiva, capace di riassumere in sé alcune delle funzioni assegnate ai vari consulenti, costretti peraltro a quasi sovrapporre i loro ruoli per ottemperare al mandato ricevuto, come nel caso della “consulenza per l’elaborazione dei testi e ricerca delle tradizioni locali per la redazione del catalogo della mostra” e della “consulenza storica per la redazione del catalogo”, affidata a un professionista di ricerca storica, ma che non risulta essere un esperto delle dottrine della fede, né delle tradizioni religiose, materia questa più da etnografi che da storici.
E le perplessità non finiscono qui, se solo si rammenta che una delle attività non secondarie della Fondazione “B. Kessler” – già Istituto di Scienze religiose – come del Museo Diocesano tridentino è appunto quella dell’indagine e della ricerca delle tradizioni popolari in materia religiosa e che quindi tali organismi avrebbero potuto supportare scientificamente la mostra stessa, probabilmente a costo zero.
Si tratta insomma di una operazione complessiva contrassegnata da forti tratti di originalità, come quelli dell’affido della curatela, dell’organizzazione e della direzione della mostra ad una persona che, per tale lavoro che è poi quello centrale di qualsiasi mostra e ne costituisce il cuore ed il motore, non percepisce alcun compenso, mentre per gli altri quattro consulenti, ai quali sono affidati incarichi diversi e comunque di minor rilievo, le casse pubbliche pagano una cifra pari ad euro 14.234,48.=.
E ancora. Sempre nel contesto della voce “spese per prestazioni professionali e specialistiche”, cioè consulenze, il Consiglio provinciale paga la somma di euro 2.500,00.=, al netto dell’IVA, per il buffet inaugurale, unitamente ad altre spese per le traduzioni in tedesco dei testi del catalogo affidate ad una ditta extraprovinciale ed all’insegna della promozione delle aziende trentine, alla stampa del catalogo ed ai trasporti delle opere esposte per un totale indicativo di ulteriori euro 14.000,00.= circa.
A queste voci vanno poi sommate quelle per le spese di comunicazione (Quotidiani “L’Adige” e “Corriere del Trentino” e Settimanale “Vita Trentina”) per un importo complessivo pari ad euro 3.040,75.= al netto dell’IVA, nonché quelle per la tinteggiatura dei locali destinati ad ospitare gli oggetti per un costo totale pari ad euro 8.750,00.= compresi gli oneri fiscali ed un totale generale pari ad euro 40.025,23.=, al quale si debbono aggiungere i versamenti delle tassazioni previste, il che porta a sfiorare la cifra notevole di circa 50.000,00.= euro per la mostra in oggetto.
Tutto ciò premesso, si chiede cortesemente di poter interrogare il presidente del Consiglio provincia per sapere:
- quali motivazioni artistiche e culturali – posto che la simbologia proposta in questa esposizione riguarda soprattutto quella realtà tirolese storica nella quale non si riconosce una parte consistente del Trentino e considerato che le ragioni in premessa degli atti amministrativi autorizzativi della mostra appaiono francamente piuttosto carenti di fondamento – sono alla base della scelta di ospitare a Palazzo Trentini un simile evento;
- quali valutazioni, in ordine al rapporto fra Istituzioni laiche e religioni, sono state poste a fondamento della scelta di cui al precedente quesito e se, qualora richiesto, la Presidenza del Consiglio provinciale fosse disponibile a concedere i medesimi spazi espositivi di Palazzo Trentini alla rappresentazione di oggetti di devozione di altre confessioni religiose, ivi comprese quella musulmana, ebraica ed animista;
- per quali ragioni la Presidenza del Consiglio provinciale ha deciso di avvalersi di ben cinque consulenti organizzativi, posto che i compiti loro assegnati potevano essere riassunti tranquillamente in un paio di figure di professionisti esperti nel settore espositivo e posto che non di mostra d’arte in senso stretto si tratta – mostra che forse avrebbe potuto comportare qualche affido tecnico ulteriore – bensì di una esposizione di oggetti e di opere e della quale si chiede qui anche il calcolato valore economico complessivo;
- per quali ragioni si è poi deciso di affidare una consulenza storica a un professionista di cui sono noti alcuni lavori di ricerca storica sull’occupazione nazista e sul Canonico Gamper ma non risultano studi particolari sulla storia della religione e della devozione popolare, posto che proprio su tali materie di carattere storico – religioso, e senza nulla togliere alla preparazione del suddetto storico, ben altre sono le competenze presenti in Trentino, come ricordato in premessa;
- quanti e quali preventivi di spesa per la varie voci sono stati raccolti prima di affidare i relativi incarichi;
- sulla base di quale scelta artistica si è deciso di allestire un simulacro di altare nell’atrio di Palazzo Trentini, posto che lo stesso nulla toglie o aggiunge all’esposizione in sé.
A norma di Regolamento si richiede risposta scritta.
Distinti saluti.
- avv. Luca Zeni -