La riscoperta di un’Europa delle regioni

Mentre viviamo con trepidazione queste tragiche giornate di guerra, e partecipiamo al dolore di un popolo invaso, anche attraverso quell’accoglienza che la nostra comunità ha già dimostrato di saper condividere, è possibile svolgere qualche riflessione che aiuti ad indirizzare il cammino che ci aspetta.

L’indignazione profonda che sta attraversando l’occidente ci fa capire quanto sia radicato ormai nelle nostre menti il dialogo come metodo di risoluzione dei conflitti. Non per una illuminazione dall’alto o per un fatto naturale, ma perché il percorso che ha permesso la costruzione dell’Europa ha fatto prevalere le relazioni economiche e culturali sulle occupazioni militari, il riconoscimento del diritto rispetto al predominio della forza.

Non è mai stato così in precedenza, e ci accorgiamo che la pace non è mai scontata e necessita di un impegno costante.

Nel perseguire i propri obiettivi geopolitici, gli Stati possono seguire vie e strumenti diversi, ed oggi torniamo a chiederci come evitare che tra questi vi siano le bombe. Questa guerra ci sta fornendo numerosi elementi di riflessione.

Il primo riguarda la forza della propaganda, su cui si basa il potere politico delle cosiddette democrazie illiberali.

Per chi vive in Russia, la rappresentazione della realtà è molto diversa da quella che viviamo noi; da mesi i media russi parlano del regime nazista ucraino e del dovere di liberare quel popolo. Negli ultimi anni la libertà di informazione nel mondo si è notevolmente ridotta, e questo nonostante la diffusione di internet. In realtà gli strumenti di manipolazione sono molto efficaci, le fake news diffondono il complottismo, rendono più difficile distinguere. Torna alla mente quanto disse Umberto Eco molti anni fa, agli albori di internet: deve essere riscoperto il ruolo di mediazione dato dall’autorevolezza di chi fornisce le informazioni, che non possono mai essere oggettive ma devono essere imparziali.

Questo ci porta ad un altro elemento di riflessione. Di fronte a questa guerra l’indignazione che viviamo in occidente non è altrettanto diffusa altrove, con un sentimento antioccidentale che riemerge ancora. Non soltanto la Cina, che rimane la principale e più pericolosa potenza con la quale dovremo confrontarci nei prossimi anni, e che è difficile credere ignara spettatrice di quanto sta accadendo. È una questione che non possiamo eludere.

Un altro elemento riguarda lo strumento delle sanzioni.

Ammettiamolo: quando, di fronte alle prime bombe, l’Occidente ha risposto annunciando sanzioni, peraltro parziali, in molti lo hanno percepito come inazione. In realtà è emerso come i forti legami economici e finanziari del mondo di oggi, portano a enormi ripercussioni su chiunque. A doppio senso, perché oggi anche noi siamo fortemente colpiti, e sappiamo che se la Russia chiudesse i rubinetti del gas, la situazione diventerebbe difficilissima. Ma la speranza è che i danni all’economia russa e soprattutto agli oligarchi vicini a Putin siano un fortissimo strumento di pressione per arrivare ad una tregua e alla ricerca di un punto di equilibrio. Ancora una volta la relazione ci rende interdipendenti, e rende più costosa la via della violenza.

L’unico aspetto positivo di questa situazione è che si sta riscoprendo la nostra identità europea, il nostro comune destino, e il ruolo e il significato profondo dell’Europa. Con un colpo solo sono state spazzate via le idiozie del populismo nazionalista e sovranista, anacronistico e autolesionista. Nel mondo di oggi non c’è spazio per le piccole rivendicazioni, per la chiusura dentro retoriche di 200 anni fa.

Se vogliamo garantire una prospettiva di sviluppo alla nostra società, occorre riconoscere la necessità di più livelli di relazione e collaborazione. L’autonomia dei territori – e non la loro indipendenza – consente di riconoscere le diversità e le peculiarità, in un rapporto di relazione continua con gli altri territori e con gli altri livelli istituzionali. In questo rapporto di sussidiarietà possiamo riconoscere delle identità che non sono immutabili, ma crescono nella relazione con gli altri, dentro una comune cornice europea, più forte nelle relazioni internazionali. La necessità di un esercito europeo era uno delle questioni principali nel dibattito che portò alla costruzione dell’Europa, e si comprende ora la lungimiranza di una proposta che va oggi attuata velocemente. Un’Europa delle regioni, un’Europa dei popoli, non delle nazioni.

Il percorso della nostra regione, terra di confine naturalmente proiettata verso un’identità contemporaneamente alpina, italiana ed europea, può contribuire a riscoprire modelli istituzionali e culturali che garantiscano un futuro di sviluppo, pace e di diffuso riconoscimento dei diritti umani.