Sono due gli elementi che si intersecano e che sono il centro della discussione sul bilancio della Provincia.
Uno è quello della crisi, l’altro l’evoluzione del rapporto tra Provincia e Stato nella gestione delle risorse.
Vale la pena ricordare per sommi capi tale percorso.
Nel corso degli anni si è passati gradualmente da un sistema delle entrate che dipendeva molto dai trasferimenti statali ad un sistema più autonomo.
In particolare le norme di attuazione del 1992 hanno determinato il cardine della struttura delle entrate che anche oggi possediamo, ovvero il principio dei 9/10 come regola generale, fornendo una maggiore certezza sulle entrate che costituiscono il bilancio della Provincia.
Nel corso degli anni sono aumentate anche le entrate proprie rispetto a quelle derivate, stabilizzandosi negli ultimi anni intorno al 12-13% del totale delle entrate.
Per quanto riguarda il concorso alla solidarietà nazionale in particolare a partire dagli anni novanta c’è stata da parte delle Provincie la richiesta di assumere sempre nuove competenze, anziché ridurre i trasferimenti dallo Stato: una importante assunzione di responsabilità che ha esteso i confini della nostra autonomia.
Questo percorso ha visto la sua ultima tappa nella modifica del Titolo VI del nostro Statuto di autonomia con il patto di Milano: dal punto di vista delle entrate si è completato quel principio dei 9/10 già sancito con le norme di attuazione del ’92.
Dal punto di vista della compartecipazione invece, oltre a rinunciare a circa 500 milioni all’anno derivanti dalla quota variabile trasferita dallo Stato, abbiamo assunto le competenze in materia di Università e ammortizzatori sociali, per un totale di 100 milioni all’anno che dovrebbero comprendere anche il discusso contributo per i comuni di confini, per 40 milioni all’anno.
Sul patto di stabilità, previsto per saldi di bilancio anziché per tetti di spesa, è prevista una procedura negoziale.
Dal punto di vista invece dell’ammontare complessivo del bilancio, il trend per decenni è stato di un aumento costante, spesso con percentuali anche a doppia cifra da un anno all’altro, spesso con variazioni che non erano legate all’andamento dell’economia trentina, ma ai rapporti della Provincia con lo Stato. Nel 2011 per la prima volta c’è stato una riduzione, anche se soltanto dell’1%, mentre per il 2012 prevediamo di mantenere il 4600 milioni del 2011, al “lordo” del patto di stabilità.
Tutto questo naturalmente modifica l’approccio alla gestione del bilancio rispetto al passato; esiste una maggiore garanzia sulle entrate ma manca il “paracadute” statale, e gli eventi degli ultimi mesi ci fanno percepire la difficoltà giuridica e politica nella difesa dei principi stabiliti con il Patto di Milano sulle uscite; pensiamo alla riserva all’erario, al patto di stabilità, e ci sarà da affrontare la questione del tetto di 100 milioni per le nuove competenze su Università e ammortizzatori sociali.
In ogni caso tutta la comunità trentina, istituzioni, categorie, cittadini, sa che siamo responsabili del nostro futuro, all’interno di una comunità nazionale ed europea che ci ha dato molto e che influisce sulla nostra autonomia.

E lo vediamo in questi anni di crisi.
Quella che anche il Trentino sta attraversando oggi non è soltanto una crisi economica, ma anche culturale e valoriale. Questa stessa constatazione è oggi motivo di riflessione in ogni angolo del pianeta, dagli Stati Uniti dai quali la crisi è partita, alla Cina che viene spesso percepita come un concorrente temuto ma che vive profonde contraddizioni e difficoltà.
Ci sono scelte necessarie che devono essere prese e che il vincolo del consenso in scadenze elettorali continue – vero limite della democrazia – rischia sempre di far rinviare; ma oggi il compito che attende la politica in tutto l’occidente è smontare e rimontare i pezzi di quel modello basato sul consumo sfrenato e sulla finanza senza regole che ha caratterizzato gli ultimi decenni dell’occidente, per ripartire da un mercato con regole precise e capace di garantire benessere alle persone.
Ma partiamo dal Trentino: sta ormai diventando una costante della discussione di tutte le finanziarie che abbiamo affrontato in questa legislatura il tema della crisi. Siamo ormai alla nostra quarta manovra, e possiamo quindi ripercorrere il percorso che ci ha portato sino a qui, e facendolo vedremo un legame a doppio filo con quanto accade intorno a noi.
Nel 2008, appena insediati, ci siamo ritrovati a dover affrontare quella che si è rivelata una delle più grandi crisi finanziarie ed economiche di sempre, che abbiamo contrastato nel 2009 con una manovra anticrisi che ha avuto pochi paragoni al mondo, se rapportata alle dimensioni della nostra Provincia. Quella manovra, che ha sicuramente avuto il merito di tenere in piedi un tessuto economico e sociale che rischiava di essere profondamente lacerato, era una misura anticongiunturale, basata sull’emergenza e non poteva certo essere un intervento strutturale.
La linea che abbiamo intrapreso – pur non avendo tutti i poteri di uno stato in politica fiscale e monetaria – ha seguito la stessa impostazione assunta da quasi tutti gli Stati occidentali: forte sostegno pubblico all’economia, incentivi generalizzati alle imprese, salvataggi di banche e società, quasi sempre ricorrendo ad un forte indebitamento.
Il fine auspicato era che il supporto dello Stato avrebbe dovuto favorire la crescita, rilanciare l’economia, incrementare il gettito fiscale e rinforzare i bilanci pubblici, in modo da poter superare la crisi e ripartire creando sviluppo.
Purtroppo la crisi si é rivelata strutturale e ben lungi dall’essere passeggera e, oltre ad investire l’intera economia mondiale, si é rivelata immune dall’intervento pubblico anche di Stati che rappresentano nel loro complesso ben oltre la metà del PIL mondiale, ad iniziare dagli Stati Uniti e dall’Unione Europea, dove l’aumento dell’indebitamento non solo non é riuscito ad invertire il trend, ma ha peggiorato la situazione.
Oggi si è cambiata bruscamente direzione, perché il prolungarsi del sostegno offerto, anche tramite la creazione di nuovo debito, rischiava di avvitarsi su se stesso in una pericolosa spirale, con il pericolo di doversi oggettivamente interrompere improvvisamente e con l’effetto di una paralisi anche delle spese di funzionamento dell’apparato pubblico. Bisogna sempre ricordarsi che dobbiamo fare i conti con un gettito di entrate che è limitato, quindi anche le spese e l’indebitamento devono esserlo. In questi giorni si sente fare spesso l’esempio che se alla prossima importante asta dei titoli di stato italiani di fine gennaio ci fossero problemi nel ricollocare tutti i miliardi in scadenza, o il loro ricollocamento richiedesse la definizione di tassi molto più alti, verrebbe annullato in sol colpo tutto l’effetto economico dell’ultima manovra varata dal governo Monti.
La consapevolezza che non avremmo potuto mantenere a lungo quel sostegno alle imprese, ci ha ben presto imposto di interrogarci sul dopo.
Nella discussione alla finanziaria 2010 infatti siamo stati in molti a sottolineare la necessità di avviare presto meccanismi di sostegno alla produttività, perché diversamente avremmo soltanto posticipato gli effetti negativi della crisi.
Nella discussione alla finanziaria 2011 molti di noi hanno sostenuto come il ciclo si stesse chiudendo, e che si sarebbe dovuto procedere velocemente nell’ applicare ciò che tutta la coalizione di maggioranza, giunta e consiglio, ha costantemente ripetuto: occorre puntare con convinzione sulla produttività e sulla creazione di valore aggiunto, anche a costo di scelte dolorose.
Aver legato definitivamente la nostra capacità di entrata alla capacità del nostro sistema economico di produrre ricchezza, senza avere più quella quota di trasferimenti dallo Stato che ci garantiva in ogni caso la copertura, responsabilizza tutta la comunità trentina, e ci stimola ad intraprendere una strada che forse non è stata sempre percorsa negli ultimi anni, quella della produttività e della selezione di spesa per la pubblica amministrazione, qualificando gli investimenti e riducendo le spese improduttive. Proprio per rafforzare questa linea, abbiamo approvato la legge sugli incentivi alle imprese.
Tornando ad oggi, possiamo dire che negli scorsi anni eravamo stati facili profeti, e quella opportunità di accelerare su scelte di fondo è diventata una necessità.
Quanto accade nel resto del mondo ci fa capire che non possiamo pensare di rimanere fuori dai grandi processi, ne siamo parte, l’autonomia è uno strumento molto forte e una grande opportunità, ma non deve essere confusa con l’idea che possiamo essere autosufficienti a noi stessi, perché la via dell’autarchia non può certo essere la soluzione.
Se la conclusione a cui sono giunti la quasi totalità degli analisti è che questa non è una crisi momentanea dovuta ai normali cicli economici che si possono contrastare con politiche in controtendenza, bensì un vero e proprio cambiamento nell’assetto dell’economia mondiale, non possiamo insistere nel considerare il Trentino come una realtà a sé.
Ma quindi, come deve porsi la politica oggi?
Se vogliamo uscire dalla crisi non possiamo pensare di farlo utilizzando gli schemi che ci hanno condotto in questa situazione; serve una prospettiva di benessere nuovo, una mobilitazione di risorse – umane prima ancora che economiche – immensa.
Qualcuno ha paragonato lo sforzo che l’umanità è chiamata a compiere oggi con la mobilitazione che ha comportato la seconda guerra mondiale, che non fu solo militare, economico e tecnologico; comportò cambiamenti sociali, politici, psicologici, dall’inserimento massiccio delle donne nel mondo del lavoro alla riorganizzazione del ruolo dello Stato in economia.
E’ l’ingegneria sociale il campo su cui si giudicherà il bilancio storico di questa generazione di leader.

Ma proprio perché la partita è di quelle di fondo, non può essere giocata in solitaria, non è un processo che coinvolge i capi, ma le comunità nel loro insieme.
Nei momenti normali può essere sufficiente la guida di governanti illuminati che ben amministrano, ma nei momenti eccezionali o della sfida si fa carico l’intera comunità o non ci sono possibilità di vincerla. Questo vale in particolare per un’autonomia come il Trentino; la nostra specialità, la capacità di autogoverno che ci contraddistingue, è un valore aggiunto inestimabile per affrontare questa fase, ma solo se sapremo coinvolgere l’intera comunità nelle scelte di fondo.
Quello della partecipazione è un tema tanto centrale quanto a rischio di sviamenti: quante volte si svolgono riunioni innumerevoli su temi magari importanti ma non prioritari, mentre partite di grande portata vengono decise nel disinteresse generale?
La vera partecipazione è possibile soltanto se chi è chiamato a governare pro tempore una comunità sceglie di mettere quest’ultima davanti agli snodi veri, a discuterne insieme, e poi a decidere assumendosene la responsabilità.
Certo, questo approccio è rischioso, significa agire con la massima trasparenza, significa interloquire con i cittadini sullo stesso piano, senza fornire false speranze, rassicurazioni di circostanza, illusioni.
Significa rivendicare quanto di buono è stato fatto – abbiamo fatto – ma significa anche capacità di ascolto, capacità di analisi per capire se qualcosa potevamo farla meglio o possiamo d’ora in avanti farla meglio.
Tutto questo senza la paura di chi si sente messo in discussione o giudicato, bensì con l’onestà intellettuale di chi sa che nei momenti difficili, dove occorre ricostruire schemi e parametri, serve la massima capacità di mettersi in discussione.
In queste fasi serve una politica forte, capace di approfondire, discutere, decidere sapendo innovare, consapevoli che le resistenze a favore dello status quo sono forti, ma consapevoli anche che una politica riformista non deve mai fermarsi, per ricercare incessantemente le migliori soluzioni.
Solo così tutti noi, donne e uomini, giovani e vecchi, potremo avere la possibilità di costruire un paese migliore ed un Trentino che saprà garantire benessere e coesione sociale.
Il quinquennio 2003-2008 è stato caratterizzato – dopo anni di difficoltà amministrativa e politica – dalla necessità di compiere importanti riforme per non fare rimanere indietro il sistema trentino. Per raggiungere quell’obiettivo occorreva una forte governabilità, e per questo si era impostato un modello di governo fortemente incentrato sull’esecutivo.
È importante che le istituzioni siano disegnate in modo da garantire la massima efficacia nell’azione di governo, ma dobbiamo stare attenti a non demandare le scelte sui grandi temi ai tecnici, o agli apparati amministrativi, magari perché il sistema burocratico è divenuto troppo intricato, oscuro anche per gli addetti ai lavori.
Il pendolo che oscilla tra capacità di decisioni veloci e condivisione delle scelte deve trovare un punto di equilibrio. Oggi per il Trentino non è l’epoca delle decisioni sull’emergenza, ma l’epoca delle strategie e delle scelte di fondo. E per fare queste scelte la nostra storia, caratterizzata dalla cooperazione e dai comuni, da una democrazia diffusa che è la nostra forza, esige un confronto ampio, trasparente, approfondito; la cultura della delega non appartiene a questa terra.
Il tema oggi non è se questo o quel consigliere, questo o quel partito, sono più o meno coinvolti nelle decisioni. Il tema è che le scelte collettive, le grandi decisioni dell’oggi non sono in superficie, ma vanno a fondo e necessitano di capire, di fermarsi, di occuparsi e dedicarsi alle questioni.
Diversamente le conseguenze sarebbero gravissime, perché quando il singolo non è più partecipe, non avverte più il senso di responsabilità verso la società, e la democrazia si svuota di contenuto e tutti saremo più soli.
Oggi più che mai serve una politica consapevole, informata, capace di assumersi la responsabilità di fare sintesi delle posizioni, di guardare all’interesse generale nel suo complesso, capace di coinvolgere il Trentino fatto di agricoltori e insegnanti, imprenditori e lavoratori, giovani precari e pensionati, ognuno con una storia da raccontare, ognuno con il bisogno di essere ascoltato. Vinceremo la nostra scommessa se impareremo a dissentire senza contrapporci, perché se si è disposti ad ascoltarsi a vicenda, si può prendere dagli altri il meglio. Basta un po’ di coraggio, già altre volte il Trentino ha saputo cambiare marcia.
Il tutto conduce ad una questione di metodo delle decisioni pubbliche, al problema della politica di oggi che sta fuori dall’arena democratica ma rifugge nella tecnocrazia.
Oggi è fondamentale poter contare su un Esecutivo in grado di decidere e di assumersi la responsabilità di scelte anche impopolari. Tuttavia, questa titolarità non può essere esercitata prescindendo dalla funzione complementare e bilanciatrice del Consiglio provinciale. Ne va del contenuto della nostra autonomia.
A questo proposito non possiamo non sottolineare il ruolo propositivo che il gruppo del Partito Democratico del Trentino ha svolto nelle scorse settimane: è dovere di ogni consigliere approfondire, lavorare sui testi, avanzare proposte migliorative. Il gruppo del Pd ha svolto questo ruolo, che ha portato ad approvare una decina di emendamenti in commissione e che ha portato alla condivisione di numerosi altri emendamenti che analizzeremo nel corso dell’esame dell’articolato. Ma oltre a rivendicare il dovere dei consiglieri di lavorare sul contenuto di un testo così importante come la legge finanziaria, sottolineo come il confronto nel merito sia avvenuto nelle scorse settimane, e che oggi ci troviamo in aula con una maggioranza coesa. Questo era per noi un obiettivo importante: contribuire con nuove proposte, discuterle all’interno della normale dialettica tra forze politiche appartenenti a una coalizione, ed essere uniti nell’affrontare l’esame in aula.

Questo è il contesto in cui si sono inserite molte delle riflessioni che si stanno svolgendo a livello europeo e nazionale, e che abbiamo affrontato anche nella nostra Provincia in queste settimane.
Sta cambiando il mondo, stanno cambiando i comportamenti, oggi è il momento di voltare pagina.
La crisi ci ha imposto riflessioni a livello di comunità ma prima ancora di singole persone e famiglie, e ci ha portato ad interrogarci sulle nostre priorità, sul senso di un modello basato sul consumo sfrenato.
Si stanno riproponendo tendenze già viste in passato: la Grande Depressione degli anni Trenta segnò una lunga ritirata dei modelli di vita consumistici, e portò ad emergere la virtù del risparmio e di un approccio più sobrio a partire dai comportamenti individuali, sia nelle fasce sociali più deboli, sia nei ceti più abbienti. Lo spreco e l’esibizione del consumo finisce di essere un valore, e il mercato diventa strumento virtuoso al servizio della persona.
Ma se questa è la tendenza che viene avanti in occidente, perché non vederla come una opportunità per fare meglio, noi che abbiamo una tradizione di sobrietà e risparmio maggiore degli altri?
Se andiamo a guardare la tendenza di un paese come gli Stati Uniti, emblema del consumismo, vediamo che dal 2008 al 2009 la percentuale di risparmio sul reddito è passata dallo 0,7 al 5%.Voglio essere chiaro.
Non sto sposando la teoria della decrescita felice, teoria che affascina soprattutto chi possiede molto di superfluo e può permettersi di affrontare con serenità i periodi di stasi economica, con un atteggiamento che rischia spesso di sconfinare nello snobismo.
La maggior parte della popolazione mondiale, e noi in mezzo a loro, teme che il prolungarsi di questa situazione comporti un aumento di povertà e disoccupazione, con conseguenze sociali molto gravi: aumenta l’insicurezza, il senso di fallimento, il disagio psicologico e sociale oltre che economico.
Se anche pensassimo che l’economia ripartirà come prima nel 2014 (sono pochi gli analisti che indicano date anteriori) 5 anni in questa situazione portano conseguenze sociali gravissime.
Per questo i dati sull’occupazione sono e devono essere al primo posto nell’analisi e negli interventi delle istituzioni.
Quello che sta accadendo è che esiste uno stato di necessità che sta ribilanciando gli squilibri provocati da anni di indebitamento facile, e i valori si sono ribaltati velocemente.  Per questo dobbiamo riuscire ad attuare in concreto quelle politiche che oggi sono state riassunte a livello nazionale nello slogan “rigore, crescita ed equità”. Il primo punto è stato riassunto nella proposta sui limiti all’indebitamento, che è stata poi frutto di un positivo lavoro di sintesi insieme alla giunta.
Come abbiamo detto, le politiche anticicliche che necessitano di forte indebitamento sono utili se effettuate per periodi limitati di tempo, ma di fronte alla constatazione che la crisi è sistemica e che tutto l’occidente sta puntando sul rigore di bilancio come priorità per i prossimi anni, non possiamo certo chiamarci fuori. Anche le iniziative di questi giorni degli Stati europei volte a trovare delle linee comuni nelle politiche fiscali e di bilancio, pur con la necessaria flessibilità, è sicuramente un dato che non può che essere visto con favore da chi crede che solo un’Europa forte potrà essere protagonista di questo secolo, mentre divisa non potrà che essere ancella delle altre potenze mondiali in crescita.
Tornando al Trentino, ed evidenziando la particolare fase che abbiamo passato e che ci ha portato ad aumentare il nostro livello di debito per garantire benessere ai cittadini trentini, la domanda che ci siamo posti è se una provincia a statuto speciale come la nostra, che è stata ben amministrata per decenni e che gode di risorse sicuramente ingenti in proporzione al numero di abitanti e rispetto a quelle di altri territori, abbia oggi bisogno di ricorrere in maniera crescente all’indebitamento.
Stiamo per approvare un bilancio di 4,6 miliardi di euro, dei quali il 38% è in conto capitale, e questo deve essere sottolineato a testimonianza di una buona gestione delle risorse, e a maggior ragione dentro queste cifre dobbiamo trovare le risorse per garantire a mezzo milione di cittadini  i migliori servizi e permettere di attuare politiche economiche virtuose.
Negli ultimi tre anni abbiamo però avuto bisogno di un forte ricorso all’indebitamento per arginare una crisi che si pensava temporanea ma che si é rivelata invece duratura: se riteniamo che la crisi sia strutturale, che le cose non torneranno come prima, quel modello non è sostenibile a lungo.
Ecco quindi che se in Trentino (e da qui il rating favorevole che ci contraddistingue) siamo stati a lungo più virtuosi di coloro i quali ora sono costretti a ripensare con misure di tipo costituzionale il modello dell’indebitamento come strumento ordinario di finanziamento dell’ente pubblico, perché proprio ora dovremmo imboccare quella strada che tutti gli altri vanno abbandonando?
Oggi un ente pubblico dovrebbe indebitarsi solamente per investimenti in grado di ripagare tale esposizione: ben vengano gli acquisti di centraline idroelettriche e le installazioni di pannelli fotovoltaici, come pure qualsiasi attività in grado di ripagarsi per conto proprio e poi generare ricavi per la Comunità.
Ma quando si tratta di realizzare altre opere significative per la Comunità stessa é prioritario oggi puntare innanzitutto sulle risorse di bilancio  disponibili, limitando il ricorso all’indebitamento ai casi eccezionali e caratterizzati da una larga condivisione perché è posto a carico delle future generazioni e comporta un costo notevole in termini di interessi passivi.
Non per niente quando a livello costituzionale si parla di questi temi si fa riferimento al principio di equità tra generazioni, perché oggi sappiamo che la tutela dei diritti sociali comporta una serie di oneri, che se non trovano risposta nei bilanci di oggi sono posti a carico delle future generazioni.
Ma il punto vero non è quanto debba essere il limite massimo di debito sostenibile per il Trentino, ma utilizzarlo il meno possibile in questo contesto di crisi economica, selezionando al meglio gli investimenti.
Al di là delle semplificazioni che qualcuno ha fatto, nessuno oggi pensa di impedire la possibilità di mettere in atto politiche economiche virtuose e di finanziare investimenti produttivi, ma dobbiamo riuscire a farlo senza proseguire con una politica di indebitamento spinta che poteva essere giustificata soltanto in presenza di una crisi di pochi mesi, non certo di anni.
Significa che dovremo selezionare maggiormente le priorità, ed attuare quei principi di politica economica, che tutti condividono, di maggiore selettività nei contributi alle imprese. Significa lavorare per razionalizzare e rendere il più efficiente possibile la macchina amministrativa e delle tante società di sistema. E non possiamo che essere soddisfatti che questa linea sia condivisa in maniera ampia dalla maggioranza provinciale.
Ma queste priorità, oltre che a ragioni economiche, di bilancio, di equità intergenerazionale, sono dovute a ragioni politiche. Dal dopoguerra in poi l’autonomia trentina ha dimostrato di essere un esempio virtuoso di capacità di autogoverno, ma ha anche ricevuto molto dallo Stato italiano di cui fa parte.
Oggi, in una fase resa ancora più difficile dalle dimensioni di un debito pubblico nazionale di cui anche il Trentino ha beneficiato, possiamo legittimare la nostra autonomia con nuove ragioni e nuovo slancio soltanto se sapremo dimostrare con i numeri e con i fatti che sappiamo gestire meglio degli altri le risorse dei cittadini.
A questo proposito è doveroso che la Provincia faccia valere in tutte le sedi quelle che sono le sue prerogative. Purtroppo avevamo già avuto modo nella seduta del Consiglio sulle linee di indirizzo al bilancio dello scorso ottobre di ipotizzare quanto poi è avvenuto, ovvero una nuova stretta sul patto di stabilità e nuove manovre con riserva all’erario da parte dello Stato.
è un dovere la tutela della nostra autonomia e dei principi concordati nel corso degli anni con lo Stato italiano, anche a costo di avviare nuovi contenziosi davanti alla Corte costituzionale.
Tuttavia in un momento storico nel quale il Paese abbandona la via della alta spesa pubblica ed imbocca la strada del rigore di bilancio, chiamarci fuori nel merito da questo percorso significherebbe scavare un fossato con il resto del Paese, ed esporci ad attacchi che rischierebbero di portare gravi conseguenze per il Trentino. Tutto questo a prescindere dalla sostenibilità giuridica sul lungo periodo della possibilità di elusione – attraverso le società di sistema – dei vincoli che Stato ed Europa impongono a tutti gli enti locali sul rigore di bilancio ed il miglioramento dei saldi. In questa situazione abbiamo il dovere di anticipare scenari anche difficili per non farci trovare impreparati.
Solo se la Comunità trentina saprà ripartire da quei principi che l’hanno sempre caratterizzata – sobrietà, lungimiranza, coesione, senso di comunità, apertura – con una gestione oculata delle risorse potremo ancora essere un modello virtuoso per gli altri e sopratutto garantire benessere alle attuali e future generazioni.

L’altra componente necessaria per migliorare i conti pubblici riguarda l’impostazione e l’efficienza della macchina amministrativa.
Abbiamo già ricordato che il quadro internazionale e i nuovi paradigmi della finanza provinciale rendono evidente che nei prossimi anni la politica sarà sempre più chiamata a possedere una elevata capacità di qualificazione della spesa pubblica, ovvero la capacità di “spendere meglio”, di “fare meglio con meno”.
Negli ultimi anni le società sono diventate il sistema per gestire interi settori dell’amministrazione, e per farlo in maniera molto più flessibile rispetto alla rigidità della pubblica amministrazione.
Vorrei essere chiaro su questo punto: noi non contestiamo il modello in sé, è una delle vie possibili, e comporta molti effetti positivi.
Quello che sottolineiamo sono le criticità che debbono essere affrontate per migliorare il sistema e renderlo più efficiente. Il sistema pubblico provinciale ha dimensioni sicuramente notevoli.
Dopo anni di espansione possiamo oggi evidenziare alcune sovrapposizioni che rischiano di rendere poco efficiente il sistema complessivo.
Inoltre in un momento di necessità di razionalizzazione della spesa pubblica e di rivitalizzazione dell’iniziativa imprenditoriale privata è importante che non vi siano ulteriori espansioni dell’amministrazione.
Occorre inoltre lavorare sulla trasparenza del sistema, perché si è allontanato dal cittadino il momento decisionale, rendendo meno controllabili e trasparenti le decisioni.
Il rischio che corriamo è quello di cadere nelle tecnocrazia: va benissimo ricercare nuovi assetti che assicurino miglior funzionalità alla pubblica amministrazione, ma è necessario mantenere la distinzione tra funzione di indirizzo politico e quella di gestione, pena la creazione di distorsioni rilevanti.
Per quanto riguarda il secondo punto, la crescita, anche qui la crisi ci ha fatto comprendere come anche una comunità piccola, coesa ed autonoma come la nostra non possa prescindere da quanto accade nel resto del mondo: la globalizzazione, nel bene e nel male, significa che siamo tutti collegati.
Al di là degli effetti negativi per il lavoro e l’economia, la crisi ci ha costretto ad interrogarci su noi stessi, sul modello sociale ed economico che intendiamo realizzare e sul ruolo che l’ente pubblico deve avere per rilanciare una comunità autonoma.
In Trentino, vi sono ottimi imprenditori, ma non esiste un vero sistema economico, un distretto, e le tante vocazioni che possiede rimangono spesso inespresse.
Se è vero che questa frammentazione ha prodotto una diversificazione che ci ha permesso di evitare i crolli che si sono riscontrati in altre realtà, al contempo rappresenta un limite per quella capacità di competere oggi indispensabile, che richiede dimensioni tali da consentire investimenti in innovazione ed economie di scala.
Per questo il modello di politica economica sul quale intendiamo puntare è stato sancito a livello di principi con la recente legge sugli incentivi approvata in luglio dal Consiglio Provinciale: superare la logica dell’assistenzialismo e dei contributi indiscriminati e passare in maniera decisa ad un sostegno mirato verso le imprese capaci di creare valore aggiunto.
I termini chiave sono: ricerca, innovazione, dinamismo e capacità d’integrazione tra ricerca ed imprese, per valorizzare i settori meglio compatibili con il territorio trentino, creando così un sistema economico competitivo ed al passo con le sfide attuali.
Per attuare questi principi in una fase di risorse limitate, con prospettive di bilancio in calo dopo decenni di forte e costante crescita, sarà necessario compiere delle scelte.
Significa essere capaci di assecondare le varie vocazioni dei diversi territori e sostenere i settori d’impresa determinanti.
Significa cercare proposte nuove e migliori.
Significa razionalizzare società e valutare dove il mercato può essere più efficiente.
Significa capacità di coinvolgere la comunità nella gestione del welfare, attuando il principio di sussidiarietà secondo modelli che la tradizione della cooperazione trentina può portare ad essere avanguardia e non cadere nelle contraddizioni della via lombarda.
Sarà importante la creazione di un sistema integrato di università, enti di ricerca ed imprese, in un’opera costante di collaborazione, nei rispettivi ambiti di autonomia.
Per mantenere la qualità del sistema pubblico, che molti indicatori ci mostrano  per livello di servizi forniti ai cittadini essere di eccellenza, ma a parità di servizio costare di più che in molte altre regioni del nord Italia, sarà necessario aumentare la nostra efficienza.
Le caratteristiche peculiari del Trentino impongono la necessità di snellire l’apparato pubblico rafforzando il tessuto economico privato, puntando sulla capitalizzazione delle aziende oggi troppo legate ai finanziamenti bancari.
Nell’attuazione della legge sugli incentivi dovremo essere in grado di individuare, insieme ai territori, quei settori che vengono spesso chiamati “vocazioni”, legati a storia, territorio, competenze, presenti in Trentino, sostenendo meno quei settori che invece hanno evidenziato la difficoltà a competere con le altre aree del mondo, poiché riguardano produzioni non più competitive.
Andranno quindi definite le infrastrutture necessarie a sostenere lo sviluppo: i settori su cui sarà più facile puntare sono naturalmente turismo, agricoltura di qualità, filiera del legno, green economy, settori ad alto valore aggiunto con eccellenze produttive di nicchia supportate dall’Università, reti d’imprese.
Dato che l’edilizia è uno dei settori maggiormente in difficoltà, è importante sostenere le ristrutturazioni legandole alla riqualificazione energetica, anche per migliorare la professionalità delle imprese edili, consapevoli che nel prossimo futuro i prezzi degli immobili saranno destinati a diminuire.
La cooperazione rappresenta un altro settore importantissimo e cardine del sistema Trentino: i suoi punti di forza sono elementi di traino, le debolezze snodi da affrontare. Lo scorso anno abbiamo ricordato alcune criticità in particolare nel settore agricolo, e l’auspicio è che si possano risolvere velocemente, senza timore nel cercare le cause per poter rilanciare il sistema. Quest’anno al centro della discussione si trova la difficoltà del credito cooperativo, che segue quella del sistema bancario internazionale. Vi è stato uno sforzo notevole da parte del sistema delle Casse Rurali per sostenere famiglie e imprese all’esplosione della crisi, ed oggi è necessario cercare insieme i migliori strumenti per contenere le difficoltà della raccolta interbancaria che stanno affrontando.
è un settore molto delicato: ipotesi come quella di emettere obbligazioni per depositare liquidità sui conti correnti della Provincia lasciano perplessi anche i più coraggiosi. Riuscire a mettere in rete il sistema finanziario trentino è sicuramente una strada da percorrere, pur con le cautele del caso quando si coinvolgono i fondi pensione, che devono prima di tutto tutelare gli interessi dei risparmiatori. In particolare sarà importante riuscire a sostenere soprattutto le Casse Rurali, che hanno vincoli territoriali per cui la quasi totalità degli impieghi è destinata alle famiglie e alle imprese trentine.

Stiamo vivendo una fase molto difficile da interpretare, e la difficoltà nel modificare gli schemi utilizzati in molti anni di benessere e di bilanci in crescita è fisiologica a tutti i livelli, nella politica, nell’apparato burocratico, nelle categorie economiche. Per questo il compito principale che ci attende è individuare con la massima obiettività le criticità del sistema, per rafforzarlo e renderlo in grado di sostenere la Comunità nelle nuove sfide che lo attendono.
Il Trentino ha tutte le carte in regola per essere all’altezza della situazione ed il Partito Democratico, insieme a tutta la maggioranza, è pronto a raccogliere questa sfida, utilizzando le opportunità offerte dall’autonomia non come scudo ma come fanale per individuare quelle strade nuove che sappiano mantenere le attuali condizioni di vita per i cittadini e garantirle anche in futuro.

Luca Zeni

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