Care colleghe e cari colleghi,
voglio incominciare questo intervento riprendendo una metafora usata dal Presidente nella Sua relazione, quella del capitano della nave che deve indicare la rotta.
Mi sono tornate alla mente le vicissitudini della spedizione “Endurance”, conosciuta anche come spedizione imperiale britannica trans-antartica: è stata una missione esplorativa finanziata dal Regno Unito diretta verso le regioni antartiche. Svoltasi negli anni 1914-1917 la missione era comandata dall’epico capitano Ernest Shackleton a bordo dell’Endurance ed aveva come obiettivo l’attraversamento dell’Antartide.
L’Endurance venne però distrutta dalla banchisa a migliaia di chilometri dalle più vicine terre abitate: i 28 uomini dell’equipaggio furono costretti a combattere per sopravvivere. La temperatura oscillava da -22°C a -45 °C e le provviste erano limitate. Tutti gli uomini riuscirono ad arrivare all’isola di Elephant mentre Shackleton salpò alla guida di una scialuppa di sette metri salvata dal naufragio dell’Endurance, in mezzo all’oceano antartico, nel tentativo di raggiungere una base baleniera situata nella Georgia del Sud. Con l’aiuto di un sestante e di un cronometro l’imbarcazione riuscì a percorrere 1.800 km ed a raggiungere la mèta dove Shackleton organizzò una spedizione di soccorso per gli uomini rimasti indietro.
Nessun uomo del gruppo trovò la morte in Antartide.
La vicenda nel Regno Unito è una sorta di atto fondativo dell’orgoglio patriottico, ma è nota nel mondo per i grandi significati che possiede.
Una nave può affrontare il tumultuoso percorso che l’attende soltanto con la disciplina, il rigore dell’essenzialità, il rispetto delle regole, il coraggio, la capacità dell’equipaggio di essere unito.

Ebbene, percorrendo questo parallelo metaforico, e riprendendo quanto da Lei detto, viene da dire che forse il Trentino ha bisogno di una scossa, di un sussulto di orgoglio, di trovare fino in fondo coraggio e coesione.

Ma partiamo dall’inizio. Stiamo discutendo della finanziaria per il 2011, siamo quindi a metà legislatura.Nel 2008, appena insediati, ci siamo ritrovati a dover affrontare una delle più grandi crisi finanziarie ed economiche di sempre, che ci ha fatto comprendere che anche una comunità piccola, coesa ed autonoma come la nostra non può prescindere da quanto accade nel resto del mondo: la globalizzazione, nel bene e nel male, significa che siamo tutti interconnessi.
Al di là degli effetti negativi per il lavoro e l’economia, quella crisi ci ha costretto ad interrogarci su noi stessi, sul modello sociale ed economico che intendiamo realizzare, sul ruolo che l’ente pubblico deve avere per rilanciare una comunità autonoma.
Sappiamo che in Trentino, dietro ad alcuni ottimi imprenditori, non esiste un vero sistema economico, un distretto, e le tante vocazioni che possiede, rimangono spesso inespresse. Se è vero che questa frammentazione ha prodotto una diversificazione che ha permesso di evitare i crolli che si sono riscontrati in altre realtà, al contempo è un limite per quella capacità di competere che serve oggi e che richiede dimensioni tali da consentire investimenti in innovazione ed economie di scala. Come ha ricordato il Presidente Dellai, il 2009 è stato caratterizzato da una importante manovra anticrisi, un’iniezione di risorse che ha avuto pochi paragoni al mondo, se rapportata alle dimensioni della nostra Provincia. Quella manovra ha sicuramente avuto l’effetto positivo di tenere in piedi un tessuto economico e sociale che rischiava di essere profondamente lacerato, ed era una misura anticongiunturale, basata sull’emergenza, non poteva certo essere un intervento strutturale.
Ed infatti la consapevolezza che non avremmo potuto sostenere a lungo quel sostegno alle imprese, ci ha subito imposto di interrogarci sul dopo. Nella discussione alla finanziaria 2010 siamo stati in molti a sottolineare la necessità di avviare presto meccanismi di sostegno alla produttività rispetto alla contribuzione a pioggia, perché diversamente avremmo soltanto posticipato gli effetti negativi della crisi. E questa finanziaria è chiamata a chiudere il ciclo. Negli ultimi mesi il mantra che tutta la coalizione di maggioranza, giunta e consiglio, ha ripetuto costantemente è stato che occorre puntare con convinzione sulla produttività.
Aver legato definitivamente la nostra capacità di entrata alla capacità del nostro sistema economico di produrre ricchezza, senza avere più quella quota di trasferimenti dallo Stato che ci garantiva in ogni caso la copertura, responsabilizza tutta la comunità trentina, e ci costringe a intraprendere una strada che è stata poco percorsa negli ultimi anni, quella appunto della produttività e della capacità della pubblica amministrazione di spendere bene.
Riconosciuta la via da seguire, emergono però le criticità che devono essere affrontate se vogliamo vincere questa sfida. La difficoltà maggiore che ci troviamo davanti è che la crisi economica non è ancora finita. La manovra anticrisi ha comportato un grande dispendio di risorse pubbliche, e si basava sulla speranza che la ripresa sarebbe arrivata al più tardi nel 2011. Purtroppo ora sappiamo che non sarà così, perché non ci siamo trovati davanti ad un fase passeggera dell’economia, ma una modifica strutturale, che comporterà cambiamenti a lungo termine.
Così oggi ci ritroviamo con la necessità di avere una selezione che premi la produttività, dopo che abbiamo mantenuto in piedi imprese che diversamente sarebbero state spazzate via (con le ricadute sociali connesse) dalla crisi stessa.
Ora è però giunto il momento delle scelte dolorose, e per questo anche impopolari, quelle capaci di assecondare le vere vocazioni dei diversi territori, e di sostenere determinati settori d’impresa e non altri.

Un tema che credo meriti un approfondimento è quello dell’evasione fiscale.
Sappiamo che l’evasione fiscale è una piaga per il Paese, con cifre da capogiro ed un sistema di controllo che spesso rischia di essere sommario. Se guardiamo i dati infatti vediamo che il numero di controlli è molto eterogeneo sul territorio nazionale (si va da un controllo da parte della guardia di finanza ogni 108 partite iva in Trentino-Alto Adige ad uno ogni 379 in Puglia), e chiunque ha avuto modo di conoscere le modalità dei controlli stessi e dei ricorsi tributari sa che possono crearsi situazioni difficili per i contribuenti non evasori che vengono controllati.
Ma il problema vero è che rischiano di innestarsi delle distorsioni di sistema, con una mobilità delle sedi legali delle aziende dalle zone dove i controlli vengono fatti in maniera più stringente a quelli dove sono meno rigorosi, con conseguenze devastanti sul piano economico e culturale.
Da questo punto di vista rischiamo di essere penalizzati come Trentino.
Potrebbe essere interessante portare avanti a livello nazionale, in sede di attuazione del federalismo fiscale, una proposta che punti ad innescare un meccanismo virtuoso, attraverso l’adozione di un sistema di “premi territoriali”, applicando aliquote più basse (ma garantendo le medesime entrate!) ai territori che in base a parametri oggettivi dimostrino di avere una evasione fiscale inferiore.
In questo modo si permetterebbe di utilizzare proprio la leva fiscale per contrastare l’evasione, con un sistema premiante anziché semplicemente repressivo. Sicuramente è una proposta impegnativa da realizzare ma per uscire dalla crisi economica e culturale che sta vivendo il Paese oggi dobbiamo pensare a riforme capaci di incidere sull’economia ma anche sui costumi, ritrovando la capacità di sentirci parte di un destino comune, e di camminare insieme nella stessa direzione.

E quello della condivisione delle scelte è un altro tema fondamentale toccato dal Presidente nella sua relazione.
Il quinquennio 2003-2008 è stato caratterizzato – dopo anni di difficoltà amministrativa e politica – dalla necessità di compiere importanti riforme per non fare rimanere indietro il sistema trentino.
Per raggiungere quell’obiettivo occorreva una forte governabilità, e per questo si era impostato un modello di governo fortemente incentrato sull’esecutivo.
È importante che le istituzioni siano disegnate in modo da garantire la massima efficacia nell’azione di governo, ma dobbiamo stare attenti a non demandare le scelte sui grandi temi ai tecnici, o agli apparati amministrativi, magari perché il sistema burocratico è divenuto troppo intricato, oscuro anche per gli addetti ai lavori.
Oggi per il Trentino non è l’epoca delle decisioni sull’emergenza, ma l’epoca delle strategie e delle scelte di fondo. E per fare queste scelte la nostra storia, caratterizzata dalla cooperazione e dai comuni, da una democrazia diffusa che è la nostra forza, esige un confronto ampio, trasparente, approfondito; la cultura della delega non appartiene a questa terra. Il tema oggi non è se questo o quel consigliere, questo o quel partito, sono più o meno coinvolti nelle decisioni. Il tema è che le scelte collettive, le grandi decisioni dell’oggi non sono in superficie, ma vanno a fondo e necessitano di capire, di fermarsi, di occuparsi e dedicarsi alle questioni.
Diversamente le conseguenze sarebbero gravissime, perché quando il singolo non è più partecipe, non avverte più il senso di responsabilità verso la società, e la democrazia si svuota di contenuto.
Oggi al Trentino serve una politica consapevole, informata, capace di assumersi la responsabilità di fare sintesi delle posizioni, di guardare all’interesse generale nel suo complesso.
Dunque dobbiamo assolutamente tornare ad una politica più consapevole, perché i problemi che ogni giorno vivono le nostre famiglie dipendono in larga misura dalle decisioni e dalle scelte – o dalle non scelte – della politica.
E per farlo dobbiamo conoscere il Trentino: il Trentino fatto di agricoltori e insegnanti, imprenditori e lavoratori, giovani precari e pensionati, ognuno con una storia da raccontare, ognuno con il bisogno di essere ascoltato. Vinceremo la nostra scommessa se impareremo a dissentire senza contrapporci, perché se si è disposti ad ascoltarsi a vicenda, si può prendere dagli altri il meglio. Basta un po’ di coraggio, già altre volte il Trentino ha saputo cambiare marcia.
Il tutto conduce ad una questione di metodo delle decisioni pubbliche, al problema della politica di oggi che sta fuori dall’arena democratica ma rifugge nella tecnocrazia.
Lungi da me riprendere una litania che talvolta si avverte di qui e di là circa l’incapacità della politica di incidere davvero sulle grandi scelte dell’oggi, su quelle direttrici che incidono veramente sulla vita delle persone. Oggi è fondamentale poter contare su un Esecutivo in grado di decidere e di assumersi la responsabilità di scelte anche impopolari.
Tuttavia, questa titolarità non può essere esercitata prescindendo dalla funzione complementare e bilanciatrice del Consiglio provinciale.
Nella realtà delle cose, la marcata verticalizzazione dei poteri ha di fatto attenuato il ruolo del Consiglio. Il problema, non facile da risolvere, è quindi capire come questo ribilanciamento possa essere concretamente perseguito.
Ci sono tre dimensioni su cui si dovrebbe intervenire.
Primo. Accentuare ulteriormente la funzione politica di Consiglio e Consiglieri. A farsi strada dovrebbe essere una sempre maggiore capacità di proposta, adeguatamente supportata sul piano tecnico oltre che giuridico, e di sintesi degli interessi più generali a scapito di quelli più minuti.
Secondo. Rinverdire l’orgoglio di essere Consiglieri, non lasciando spazio alle frustrazioni, spesso indotte dalla pervasiva centralità dell’Esecutivo. Solo questo può ridare all’aula la sua centralità: una centralità vocata più all’approfondimento dei contenuti che all’impatto mediatico, più alla funzione reale di confronto e controllo che all’essere mero collettore di decisioni prese altrove. E ancora, un’aula aperta agli stimoli dell’Esecutivo, ma anche agli interessi, alle istanze e alle visioni che la comunità esprime, facendo del Consiglio e dei Consiglieri un portale di accesso alle istituzioni a disposizione di tutti.
Terzo. Promuovere un insieme di azioni coordinate, in grado di affrontare la questione a più livelli. Da quello del coinvolgimento preventivo, perché il Consiglio deve costituire per l’Esecutivo un interlocutore permanente e privilegiato. Quindi informare per tempo, raccogliere pareri e osservazioni, impedire che la delegificazione, in molti casi necessaria per rispondere rapidamente alle dinamiche sociali ed economiche, si trasformi in un surrettizio esproprio di ruolo. Da quello tecnico, dotando il Consiglio di strutture specialistiche adeguate a supportare un ruolo decisamente più esigente, non soltanto su quello giuridico, quanto su quello economico, finanziario e delle politiche di settore, e ciò soprattutto in termini di valutazione di impatto e di risultato.

Quest’aula rappresenta l’autonomia trentina, e deve essere emblema di una comunità viva.
La peculiarità più grande del Trentino infatti è sempre stata non tanto la presenza delle montagne, o un’autonomia ricca di risorse economiche, bensì la presenza di una classe dirigente diffusa sul territorio, di una comunità capace di autogovernarsi ad ogni livello.
Cooperazione, associazionismo, pompieri, alpini, cori, parrocchie, comuni, filodrammatiche… il tessuto sociale è sempre stato il vero antidoto all’omologazione con il resto del mondo.
Ma se vogliamo che continui ad esserlo, non possiamo pensare di espropriare i cittadini dal coinvolgimento nelle grandi scelte che dobbiamo compiere. Il Trentino è sempre stato profondamente democratico, la cultura della delega ne modificherebbe profondamente la struttura di fondo.

Ma torniamo al merito.“Fare meglio con meno”, abbiamo detto, riprendendo un felice slogan del collega Nardelli.
Questa frase riassume lo spirito che vogliamo caratterizzi il prossimo corso di questa amministrazione. Uno spirito che richiama l’essenza stessa di un’autonomia autentica; vi ritroviamo in particolare Alcide De Gasperi, e la sua insistenza nel far capire che l’autonomia si giustifica se la comunità dimostra di possedere davvero una capacità di autogoverno che gli consente, appunto, di fare meglio con meno.
E in un momento di difficoltà per tante famiglie ed imprese, fare meglio con meno diventa addirittura una pretesa dei cittadini nei confronti dell’amministrazione. Oggi i cittadini trentini ci chiedono di dimostrare più che in passato di essere in grado di compiere le scelte giuste, e di stabilire con attenzione le priorità.
Per questo se vogliamo riuscire in questo compito, dovremo muoverci con rigore in tutti i settori dell’amministrazione.
Cito alcuni campi:
-         agricoltura. Se il settore frutticolo non rileva criticità, decisamente diversa è la situazione per il settore vitivinicolo e lattiero caseario. Qui occorre aprire una parentesi sul ruolo della cooperazione, che è di fatto l’unico attore in questi settori.
Dobbiamo prima di tutto chiarire che la cooperazione è una parte fondamentale dell’economia e dell’identità trentina. Sbaglia che la ritiene semplicemente uno degli strumenti pubblici per coprire qualche settore marginale dove il privato fatica ad arrivare.
La cooperazione è uno strumento imprenditoriale che esiste ovunque nel mondo e che copre ogni attività economica; è un modello imprenditoriale di successo che deve avere una pari dignità di qualsiasi altra impresa.
Proprio per l’importanza che ha per il Trentino, abbiamo il dovere di guardare con grande attenzione all’importante dibattito in corso all’interno della cooperazione trentina.
Le difficoltà emerse di recente, con le cantine di Lavis in testa, hanno evidenziato dei limiti che impongono un ripensamento di alcune politiche economiche.
Per questo è emerso con forza il tema del rinnovamento della classe dirigente e della capacità di partecipazione ampia alle scelte.
In questo contesto occorre la massima prudenza nella previsione di un intervento pubblico per coprire i buchi. Di certo servirebbe a poco se non accompagnato da una profonda analisi che individui le cause ed i responsabili degli errori e proponga una strategia capace di rinnovare e premiare la capacità imprenditoriale.
-         Sul settore manifatturiero dobbiamo intervenire per premiare la capacità di aggregazione, di creare reti e sistemi di imprese, per far crescere sistemi integrati e filiere (pensiamo agli interessanti settori del legno e del porfido), evitando che la frammentazione e le piccole dimensioni diventino una zavorra troppo pesante;
-         la cultura è un settore essenziale per mantenere una comunità viva, ed oggi dobbiamo riuscire a realizzare un coordinamento forte che consenta di mettere in rete le molte strutture presenti sul territorio trentino, per evitare sprechi che i cittadini non possono più giustificare. La scelta di coprire ancora una volta i buchi del Santa Chiara sia almeno davvero legata ad una individuazione delle responsabilità e ad una strategia che permetta un cambio di rotta. Il dibattito aperto sulla realizzazione di importanti nuove grandi strutture, penso al teatro all’aperto di Pergine o a quello di Trento, sia collocato all’interno di una visione unitaria che non porti alla realizzazione di opere milionarie incapaci di rivestire davvero una portata provinciale, con la conseguenza di spese di gestione troppo alte.
-         nella gestione del patrimonio immobiliare, muoviamoci vagliando tutte le opzioni presenti sul mercato, perché i cittadini non capirebbero investimenti che potrebbero sembrare dovuti più alla necessità di sostegno di operazioni riuscite male che ad un interesse pubblico. Un esempio su tutti, citato in quest’aula pochi giorni fa, riguarda l’area ex Michelin.
-         nella cooperazione internazionale è forse giunto il momento di interrogarci sull’impostazione di fondo da tenere. Destinare una parte del nostro bilancio alla cooperazione internazionale è un dovere imprescindibile per una comunità come la nostra, che ha nella solidarietà una delle sue caratteristiche principali. Del resto lo 0,25 % del bilancio, se è sopra la media italiana, è sicuramente lontano da quello 0,70% indicato come obiettivo europeo. Dobbiamo però aver ben presente che cooperazione internazionale significa anche capacità di relazione, è uno sguardo sul mondo che ci permette di avere più consapevolezza di noi stessi e di rendere la nostra autonomia interconnessa meglio con il resto del mondo.
Anche per questo oggi dobbiamo chiederci se finanziare progetti a pioggia sia il modo migliore per utilizzare queste comunque importanti risorse, con il rischio che sul lungo periodo si incida poco. Forse una comunità come la nostra potrebbe compiere delle scelte più coraggiose, e concentrare le risorse su alcune aree disagiate per cambiare davvero le cose almeno in quelle realtà; significherebbe passare dall’aiuto alla cooperazione.
-         un altro campo fondamentale è quello dell’impostazione e dell’efficienza della macchina amministrativa. Abbiamo già ricordato che il quadro internazionale e i nuovi paradigmi della finanza provinciale rendono evidente che nei prossimi anni la politica sarà sempre più chiamata a possedere una elevata capacità di qualificazione della spesa pubblica, ovvero la capacità di “spendere meglio”, di “fare meglio con meno”.
Negli ultimi anni le società sono diventate il sistema per gestire interi settori dell’amministrazione, e per farlo in maniera molto più flessibile rispetto alla rigidità della pubblica amministrazione. Vorrei essere chiaro su questo punto: noi non contestiamo il modello in sé, è una delle vie possibili, e comporta molti effetti positivi.
Quello che sottolineiamo è che ci sono anche delle criticità che devono essere affrontate per migliorare il sistema e renderlo più efficiente. Il sistema pubblico provinciale ha dimensioni sicuramente notevoli.
Dopo anni di espansione possiamo oggi evidenziare alcune sovrapposizioni che rischiano di rendere poco efficiente il sistema complessivo. Inoltre in un momento di necessità di razionalizzazione della spesa pubblica e di rivitalizzazione dell’iniziativa imprenditoriale privata è importante che non vi siano ulteriori espansioni dell’amministrazione, seppur celate con forme e “scatole” giuridiche non propriamente evidenti. Occorre inoltre lavorare sulla trasparenza del sistema, perché si è allontanato dal cittadino il momento decisionale, rendendo meno controllabili e trasparenti le decisioni.Il rischio vero che corriamo è quello di cadere nelle tecnocrazia. Va benissimo proseguire nella ricerca di nuovi assetti che assicurino miglior funzionalità alla pubblica amministrazione, ma stiamo attenti a mantenere la distinzione tra funzione di indirizzo politico e quella di gestione, o si creerebbero distorsioni rilevanti.
-         Un altro tema che dobbiamo affrontare, anche per chiarire la nostra posizione, è quella del debito della Provincia.
Il debito del sistema Provincia risulta essere al 9 novembre 2010 pari ad € 925.435.000. Sappiamo che il debito in sé non è un concetto negativo, dipende dalla produttività che quel debito è capace di comportare (ovvero quanto è in grado di “ripagarsi”), e dai tempi di rientro previsti.
La cifra di quasi un miliardo prodotta dalle società di sistema del Trentino è sicuramente importante, ma comunque all’interno di un contesto che non è oggi allarmante, soprattutto se paragonato con il debito pubblico di alcuni Stati europei, tra i quali l’Italia, come ha avuto modo di spiegare il Presidente Dellai nella risposta ad una recente interrogazione.Tuttavia occorre riconoscere che veniamo da anni di risorse rilevanti per la nostra autonomia, mentre sappiamo che nei prossimi anni saranno in calo, dopo gli accordi presi con lo Stato per l’attuazione del federalismo fiscale. Da qui al 2018, per mantenere il nostro bilancio allo stesso livello del 2010, prevediamo di utilizzare circa 500 milioni di euro all’anno di crediti arretrati che godiamo nei confronti dello Stato; dopo di che il bilancio dovrà diminuire di molto, obbligandoci a essere ancora più rigorosi sulla spesa.
Per questo occorre tenere sotto controllo il debito che produciamo. Poiché in gran parte non è debito che “si ripaga”, come avviene invece nelle imprese private, per ripagarlo stiamo impegnando i bilanci futuri (fino al 2028, riporta nella sua risposta il Presidente Dellai).
Coloro che nei prossimi anni saranno chiamati ad amministrare questa Provincia si troveranno quindi con somme già vincolate per pagare il debito di oggi.
Per questo desta preoccupazione che le ingenti spese di investimento dell’Autonomia non gravino in termini di debito futuro sulle future generazioni, e dovere della politica è tenere sotto controllo la situazione evitando di ricorrere in maniera facile all’emissione di ulteriore nuovo debito.  Un altro tema fondamentale che ha toccato il Presidente Dellai nella sua relazione, è quello dei giovani.
Ormai tutti riconoscono che coloro che sono stati più colpiti dalla crisi economica e dalla disastrata situazione delle finanze dello Stato italiano sono i giovani. Anche se è vero che il tasso di disoccupazione in Trentino è decisamente inferiore a quello del resto del Paese, e che maggiore è la capacità delle famiglie di sostenere i propri figli, le inquietudini e le difficoltà vissute sono analoghe.
L’Italia ha il più alto numero, tra i paesi europei, di giovani che non lavorano e non studiano. Troppo spesso vivere a casa con i genitori diventa il modo più semplice per sbarcare il lunario. Il quadro dell’Italia disegnato nel rapporto annuale dell’Istat 2009 è quello di un Paese in parte ripiegato su sé stesso, colpito dalla crisi economica nella vita di tutti i giorni.
Famiglie non più in grado di affrontare qualsiasi imprevisto, disoccupazione o sottoccupazione, in particolare nella fascia femminile. Il potere d’acquisto pro capite italiano è scivolato sotto il livello del 2000 mentre la pressione fiscale è salita al 43,2% nel 2009, aumentando di tre decimi di punto rispetto all’anno precedente (42,9% nel 2008) e ampliando lo stacco di oltre tre punti percentuali con la media Ue. I dati sul lavoro offrono sicuramente degli indicatori che ci fanno riflettere: abbiamo un numero molto basso di persone impiegate nel mercato del lavoro, se confrontato con ogni altro Paese europeo; a parità di lavoro abbiamo stipendi inferiori del 30-40% rispetto agli altri grandi Paesi europei; abbiamo circa 9.400.000 persone che godono pienamente di tutte le garanzie del diritto del lavoro ed altri 9.000.000 circa che invece o sono dipendenti di imprese con meno di 15 dipendenti – e qui non ci sono grossi problemi – o sono sottoposti ad altre forme contrattuali, atipiche.
E i circa 800.000 posti di lavoro persi in questi ultimi due anni in Italia rientrano quasi tutti in queste forme contrattuali: l’esigenza di flessibilità si scarica quasi interamente lì.
Qui si inserisce una questione generazionale.
Quelli che pagano di più questo stato di cose sono i giovani.
Alla fatica di vivere nell’incertezza per chi lavora, si affianca una fascia crescente di giovani che non fanno nulla.
I sociologi e gli statistici li chiamano Neet (Non in education, employment or training) e nel nostro paese sono oltre 2 milioni. Per questo, il nostro paese, ha il primato europeo. Hanno un’età fra i 15 e 29 anni, per lo più maschi, e sono a rischio esclusione. A casa con mamma e papà ma non più per scelta né per piacere. I “bamboccioni” del 2006 hanno lasciato il posto nel 2010 ai giovani conviventi forzati con i genitori, costretti dai problemi economici. I 30-34enni che rimangono in famiglia sono quasi triplicati dal 1983 (il 28,9% del 2009), a causa della crisi economica: sono coloro che perdono il lavoro e quanto più dura questo stato di inattività tanto più hanno difficoltà a rientrare nel mondo del lavoro.
In Italia il quadro è drammatico, e si sta propagando anche in Trentino. Non possiamo nasconderci che anche qui ci sono centinaia di brillanti laureati che cercano lavoro e non lo trovano, se non dietro segnalazione.
Basta, non possiamo permetterci di pensarci come comunità di eccellenza se abbiamo questo tipo di retroguardie al nostro interno. I migliori hanno già iniziato ad andarsene.
Per uscirne, c’è da fare moltissimo, in svariate direzioni. Per incominciare potremmo partire da quanto già indicato da questo Consiglio. Sappiamo che la flessibilità richiesta dalle imprese rende anacronistico pensare di tornare al posto fisso a vita, ma non è necessariamente nemmeno quello che chiedono i giovani. Quello che serve oggi è un reddito che sia almeno a medio termine, che consenta di impostare un progetto di vita, pensare alla famiglia, ai figli.
Questo significa che dovremo investire con forza sulla nuova competenza sugli ammortizzatori sociali.
Lo scorso anno abbiamo approvato un ordine del giorno che indicava la strada dell’istituzione di un fondo misto pubblico privato capace di creare degli ammortizzatori sociali per i periodi che passano da un lavoro all’altro. Ad oggi non risulta avviato nessun approfondimento in questa direzione, ma è urgente, dobbiamo muoverci. Incominciamo poi noi stessi a dare fiducia alle tante competenze ed energie che ci sono in Trentino. Aiutano sicuramente alcune regole che abbiamo introdotto nel corso di questo 2010 con leggi che vanno in questa direzione, con criteri di merito, rotazione, limiti di mandati, divieti di cumuli di cariche e limiti per le conferme dei dirigenti in pensione nelle nomine della Provincia e sulla gestione del personale, ma poi è la politica che deve confermare questa volontà e investire con coraggio premiando le capacità più che la fedeltà. Anche all’interno della pubblica amministrazione dobbiamo riuscire a fornire maggiori criteri meritocratici, che forniscano delle prospettive di crescita professionale maggiore, che motivino le tante competenze presenti all’interno; allo stesso tempo è troppo marcata la componente di precari, alcuni per 15-20 anni.
Dobbiamo però rivolgerci ai tanti giovani che guardano alle nostre decisioni con un misto di fiducia e disillusione dicendo loro di non farsi prendere dallo sconforto. Oggi occorre soprattutto un riscatto culturale della mia generazione e di quella successiva alla mia: serve fiducia, positività, un briciolo di pazzia: siamo cresciuti negli anni ’80 e ’90, tutto è stato per noi in fondo molto facile.
Questa, per i giovani 25-35enni di oggi è il primo vero banco di prova, la prima fase di difficoltà. Non possiamo e non dobbiamo attendere che gli altri ci confezionino una soluzione: abbiamo la forza per uscirne con originalità e spirito di intraprendenza, con fiducia e speranza. Signor Presidente, ho apprezzato molto le prime pagine del Suo discorso, Le ho trovate molto oneste, dirette, scevre di filtri e di demagogie. E prendo come gli impegni di un Capitano coraggioso quanto detto a proposito delle sei linee prioritarie di azione. Sarà però essenziale che questi sei assi di azione che lei ha correttamente individuato vengano portati avanti con coraggio. In questa fase non possiamo permetterci timidezze di fondo: oggi dobbiamo unire inscindibilmente senso di responsabilità e coraggio nell’intervento. Mi riferisco in particolare al punto n. 3, n. 4 e n. 6 su incentivi alle imprese, modernizzazione settore pubblico, nuovo welfare. Sono tre settori in cui se fossimo un po’ più coraggiosi e decidessimo di scontentare qualche categoria e qualche autorevole commentatore od imprenditore, forse potremmo ottenere molto molto di più.
Riprendendo quanto abbiamo già detto, oggi dobbiamo incentivare soltanto chi merita davvero, e promuovere chi innova, chi investe, chi rischia. Basta distribuire denaro a tutti. Non ce lo possiamo più permettere, e lo dimostra il debito accumulato che, seppur in un quadro non allarmante, comunque ricadrà su chi verrà dopo questo ciclo politico.
Per fare tutto questo, ci vuole un grande patto, che comprenda categorie e sindacati. Questa maggioranza se Lei lo promuoverà, La sosterrà signor Presidente. Lei ha un’occasione storica per chiudere il Suo mandato e la sua esperienza di Presidente con questi obiettivi raggiunti e questa maggioranza la sosterrà in tal senso con convinzione. Occorre ridurre l’invasività del pubblico, accrescere la selettività e promuovere l’eccellenza. In tutti i settori.In definitiva, la sfida che ci stiamo giocando riguarda il futuro della nostra comunità e della nostra autonomia.Voglio concludere citando la mail di un giovane trentino che mi scrive:

Il Trentino che vorrei lo immagino come quello dei miei nonni, con più servizi e con una qualità della vita buona dove possiamo mangiare i prodotti della terra senza avvelenarci, dove l’ospitalità sia vera e non artefatta, dove le tradizioni sopravvivono anche grazie agli immigrati, dove mia figlia trovi un’occupazione commisurata ai sui studi o alle sue attitudini senza che il papà debba mendicare favori o raccomandazioni. Un Trentino dove le aziende private vogliano investire perché i servizi sono buoni e si inneschi un meccanismo di incentivazione e di stimolo ma non di welfare aziendale. Questo è il Trentino che vorrei, forse troppo semplice ma in fondo la semplicità è anche la caratteristica più marcata di noi trentini.

Questa sfida riusciremo a vincerla se capiremo che oggi per spiegare cosa significhi autonomia non bastano le ragioni storiche – pur importanti e da rivendicare – o quelle territoriali – pur da evidenziare e valorizzare, essendo terra di montagna.
Dovremo invece dimostrare al resto del Paese e dell’Europa che autonomia significa – riprendendo lo slogan di questa finanziaria – possedere una capacità di autogoverno che consenta di fare le cose meglio degli altri con meno risorse. Allora avremo vinto la sfida.
Se così non sarà, lasceremo al futuro un Trentino stanco, con la pancia piena degli anziani e degli adulti, ma senza giovani, senza innovazione, senza coraggio.
E, per tornare alla metafora iniziale, alla prima tempesta verremo travolti. L’invito è quello di seguire le orme del capitano Shackleton!
E di portare il Trentino per davvero oltre la crisi.
Grazie

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