Interrogazione

GUARDIE MEDICHE OVUNQUE? 

Fra le tradizioni di maggior rilievo nella cultura e nell’evoluzione della società  trentina, le scelte legate alla creazione di un sistema sanitario provinciale adeguato alle esigenze del territorio spiccano fin dall’immediato secondo dopoguerra, nella consapevolezza delle difficoltà del Trentino di allora sia in termini di salute pubblica, come sul piano di una diffusione larga dell’assistenza sanitaria primaria.

 

E’ in questo contesto quindi che viene, via via, a svilupparsi un processo di collocazione, nelle principali vallate, di alcune strutture ospedaliere atte a far fronte alle principali questioni legate alla salute. Accanto a ciò una rete di medici di medicina generale destinati ad essere risposta prima per le singole comunità ed una servizio di “guardia medica” destinato ad intervenire prontamente in situazioni urgenti ed emergenziali, poste le difficoltà dei collegamenti e degli spostamenti verso gli ospedali di valle o addirittura verso i centri urbani di fondovalle. 

Lo scorrere del tempo, l’innovazione e lo sviluppo, le trasformazioni infrastrutturali, il progresso scientifico e medico ed un diverso approccio all’organizzazione sanitaria in una geografia così complessa come la nostra, hanno poi determinato, negli anni, una serie di trasformazioni profonde di quel modello iniziale, affidando nuovi mandati agli ospedali di valle (ad esempio nessuno oggi chiederebbe di poter sottoporsi ad una operazione chirurgica oncologica importante “vicino a casa”, si cerca la struttura con la più alta casistica e specializzazione) e destinando le “guardie mediche” a compiti di continuità assistenziale, affidando ad altri operatori gli interventi emergenziali e di prima urgenza.

 

Alla luce di questo lungo ed articolato processo di ridisegno dei servizi sanitari diffusi, si è avviata anche un’analisi costante sull’efficienza del sistema, registrando così, dall’insieme dei dati raccolti negli anni, come su trentaquattro sedi di “guardia medica” operanti sul territorio, la metà di queste – e quindi circa diciassette sedi – aveva una media di interventi inferiore a tre, nell’arco di dodici ore ed ivi comprendendo visite a domicilio e consulti telefonici o per le vie brevi. 

Sulla scorta di tali considerazioni ed in un’ottica di necessaria razionalizzazione della spesa pubblica, nel rispetto delle normative nazionali, si scelse di accorpare, laddove possibile, alcune sedi, in modo tale da consentire un aumento della casistica per ogni medico assegnato al servizio di “guardia”, diminuendo o comunque stabilizzando l’alto “turn over” fra i medici stessi, con la contestuale riduzione dei costi complessivi, posto che ogni sede di “guardia medica” necessita di quattro medici, fra loro turnanti in servizio, con un esborso pubblico pari a circa duecentomila euro annui.

 

Con una decisione solo in parte coerente con le promesse elettorali, nelle scorse settimane la Giunta provinciale, su proposta dell’Assessore competente, ha deliberato l’iter per la riapertura delle sedi di “guardia medica” in val di Ledro e nella conca del Tesino, mentre in sede di audizione durante i lavori della IV Commissione legislativa del Consiglio provinciale, sempre l’Assessore di merito ha ufficialmente affermato che le statistiche ed i dati tecnici in possesso dell’Amministrazione provinciale non giustificherebbero affatto una simile scelta. Ciò premesso – ha poi aggiunto – è però volontà della Giunta provinciale di ascoltare le richieste dei cittadini, i quali sostengono che il presidio locale di “guardia medica” contribuisce a trasmettere percezioni di maggiore sicurezza della salute collettiva, riattivando quindi alcuni servizi sul territorio. 

Se da un lato la contraddizione nella quale incorre l’Assessore è evidente, dall’altro non si può non stigmatizzare una politica sanitaria improntata più alla condiscendenza verso le più eterogenee istanze di gruppo che non ad un rigore amministrativo e gestionale retto su seri criteri di programmazione. In altre parole il consenso momentaneo prevale sulla razionalità, con conseguenze pericolose per l’intero sistema, qualora questa prassi dovesse confermarsi anche in futuro. Infatti, come sarà possibile governare il sistema, assecondando le richieste contingenti delle popolazioni, anche considerando una finanza pubblica in calo nei prossimi anni? Forse tagliando altri servizi sanitari ben più rilevanti, per privilegiare una nuova rete di “guardie mediche”?

 

Tutto ciò premesso, si chiede cortesemente di poter interrogare la Giunta provinciale per sapere: 

1) sulla basi di quali criteri tecnico-amministrativi si è scelto di riattivare il servizio di “guardia medica” in val di Ledro e nella conca del Tesino, anziché altrove;

 

2) se si intende riaprire quindi anche tutti gli altri servizi di “guardia medica” soppressi nel tempo ed accorpati fra loro, oltre alle attuali ventuno sedi già operanti sul territorio provinciale.

In particolare, la logica per la quale ogni servizio di guardia medica in più, “anche se i dati non lo giustificherebbero” è un valore aggiunto per la popolazione, si chiede se:

- si intende riaprire la sede di guardia medica di Cavalese?

- si intende riaprire la sede di guardia medica stagionale di San Martino di Castrozza?

- si intende riaprire la sede di guardia medica di Levico Terme?

- si intende riaprire la sede di guardia medica di Baselga di Pinè?

- si intende riaprire la sede di guardia medica di Malè, riportandola da stagionale a permanente?

- si intende riaprire la sede di guardia medica di Cles?

- si intende riaprire la sede di guardia medica di Denno?

- si intende riaprire la sede di guardia medica di Andalo, riportandola da stagionale a permanente?

- si intende riaprire la sede di guardia medica di Segonzano?

- si intende riaprire la sede di guardia medica di Lavarone?

- si intende riaprire la sede di guardia medica di Arco?

- si intende riaprire la sede di guardia medica di Tione?

- si intende riaprire la sede di guardia medica di Campiglio? 

3) in caso di risposta negativa, totale o parziale, alla domanda due, se in base al criterio enunciato dall’assessore, e cioè quello della richiesta dei territori, per le comunità interessate sia sufficiente esprimere la richiesta, ed eventualmente in quale forma e con quanti decibel di volume, per ottenere la sede (mentre il servizio, ricordiamolo, non è stato mai soppresso in alcuna parte del territorio).

 

A norma di Regolamento si richiede risposta scritta.

distinti saluti.

                                                                                        – avv. Luca Zeni -