Delle centinaia di news pubblicate su questo blog, solo poche sono quelle riconducibili alla vita di partito.
Sono convinto infatti che il miglior servizio che possa compiere chi fa politica sia quello di concentrarsi sull’attività che incide sulla vita delle persone, sulle proposte quotidiane e sull’approfondimento, con la visione di fondo che caratterizza la propria appartenenza culturale e politica.
Ci sono però occasioni durante le quali l’attenzione che i media dedicano agli argomenti interni al partito democratico, solleva domande anche tra i cittadini, proprio perché le scelte dentro i partiti hanno ricadute dirette sulle istituzioni.
Nelle ultime settimane in molti mi chiedono cosa stia succedendo dentro al Pd trentino, incapaci di capire il senso di quanto recentemente avvenuto. La mia risposta sintetica è che quando si antepongono interessi personali a un progetto politico, e saltano le categorie della politica, il sistema entra in fibrillazione. É necessario quindi provare a spiegare questa situazione tutta interna.
Per farlo desidero prendere spunto da una mail che mi è arrivata da un elettore-amministratore, che di tanto in tanto mi scrive, e, dal suo punto di vista, riassume la situazione del pd; mi pare molto utile, perché ai non addetti ai lavori la questione partitica risulta di solito molto vaga:
“..ciao Luca,
(..) la situazione del Pd è incredibile per chi guarda da fuori (..)
Provo a ricostruire (..)
nella primavera del 2014 il pd svolge il suo congresso, con regole proporzionali (si votano i candidati segretari e le liste collegate, se non c’è maggioranza assoluta, l’assemblea eletta sceglie il segretario). Nessuno vince (o, per dirla alla Bersani, tutti non perdono), un terzo a testa; di poco davanti arriva Elisa Filippi (che era la grande favorita e quindi politicamente è quella che ha perso), ma solo per una spanna su Giulia Robol e Giovanni Scalfi.
La mozione Scalfi sostiene Robol, che diventa segretaria, con un accordo che non passa bene su una parte di opinione pubblica.
Nel corso dell’anno le tensioni nel pd sono sempre molto alte, con una gestione da parte della segretaria molto combattiva ma individuale, e una “minoranza Filippi” che sta sull’Aventino e organizza i suoi incontri con associazioni parallele al pd.
Le forzature di Robol sul comune di Rovereto, dove mette in difficoltà il sindaco in carica (del quale è anche assessore), fanno ipotizzare che l’obiettivo sia prenderne il posto.
In questo quadro la tensione aumenta, con un crescendo finale dove Robol decide di attaccare tutto il gruppo consiliare del Pd, che chiedeva di muoversi tutti con maggiore collegialità. Alla fine un’intervista suicida dove Robol si auto candida a sindaco di Rovereto è la scintilla che porta l’assemblea del Pd a chiederne le dimissioni all’unanimità.
E qui inizia la parte più incredibile.
Dopo una settimana di trattative (bloccate dall’attivismo del sempre presente Olivieri, gran consigliere della Robol),per cercare una “soluzione transitoria”, stabilizzare il quadro, dedicarsi alle comunali e dopo aver cambiato le regole lasciar scegliere gli elettori con un congresso, la segretaria, che non si è ancora dimessa nonostante tutto, propone la sua sfidante come segretaria di una gestione unitaria; nel frattempo nessuno sa se si dimette o meno, anzi, pare che dica che se non si fa così, lei non si dimette, ricattando il suo partito.
L’assemblea dà mandato allora a Filippi di verificare se ci sono le condizioni per una grande pacificazione, altrimenti si nominerà qualcuno per gestire questa fase e poi congresso.
Per dieci giorni così Filippi gira il partito, e di porte aperte ne trova pochine, se si esclude la Robol stessa: incassa un invito a non forzare da parte della stragrande maggioranza del gruppo consiliare in Provincia (cioè il Pd dentro le istituzioni), perché guidare il partito di maggioranza in provincia richiede una condivisione di linea profonda, che non può essere costruita su una assemblea così frammentata e nel bel mezzo delle comunali.
Prende atto di una mozione Robol divisa, e di una mozione Scalfi che dire non entusiasta della soluzione è un eufemismo.
In questo clima Filippi denota ottimismo (questa è la regola aurea da applicare sempre), il suo portavoce Sester lancia messaggi minacciosi (“se non si elegge Filippi ci faremo commissariare e qualcuno se ne prenderà la responsabilità”: ma non si proponeva per servizio? Allora ci tiene molto anche lei a quella sedia..), e la maggior parte dei delegati in assemblea pensa che sia un disastro ma non è bello dire di no alla proposta.
Se queste sono le basi del nuovo corso, non pare esserci tempo buono all’orizzonte per il Pd trentino. E a breve termine le conseguenze le subiremo noi sul territorio che dobbiamo affrontare le comunali.”
Andrea S.
Questa è la mail di un amministratore Pd, che conosce le dinamiche, ma al contempo le guarda “da fuori” e al di là di alcune semplificazioni, è comunque significativa del clima percepito.
All’inizio di questa vicenda ho rivolto un appello al senso di responsabilità, chiedendo a tutti un passo indietro, evitando di anteporre la tattica alla strategia, in una fase così delicata: “chiudiamo subito, i cittadini sono stanchi dei nostri giochi interni”, dissi (v. post del 19 febbraio). Ad oggi purtroppo si tratta di un appello ancora non ascoltato.
Così sono ormai tre settimane che prosegue una vicenda che non interessa molto ai cittadini ma che fa perdere quella poca credibilità rimasta alla politica e di riflesso alle istituzioni.
Appare ormai evidente che non ci sono le condizioni per una condivisione unitaria e ampia a lungo termine e proprio questo era il mandato dell’assemblea: la verifica di queste condizioni. Questo non solo intorno alla candidatura Filippi, ma a una qualunque segreteria “senza vincoli”.
Infatti far ripartire un partito come il Pd richiederebbe competenze, chiarezza e unità, e questo non è possibile semplicemente cercando di incollare i frammenti di un’assemblea stanca e che ha ormai concluso il suo percorso, attraverso accordi con Tizio o con Caio.
Lo si può fare con calma solo attraverso un confronto partecipato, trasparente e aperto, coi cittadini, dopo aver lasciato decantare le tensioni e esserci concentrati sulle imminenti elezioni comunali.
L’invito che faccio oggi è di non farsi prendere dalla voglia di chiudere “a qualunque costo”, cercando improbabili maggioranze variabili in assemblea, e di non farsi prendere dal nervosismo. Minacciare “o io o il commissariamento” è irresponsabile oltre che francamente infantile.
Serve oggi stabilizzare il quadro, e lasciare che una gestione transitoria – questa sì unitaria – con il coinvolgimento anche di persone con un profilo istituzionale (si era parlato di Tonini, ma le soluzioni si trovano in un minuto, se si vuole) gestiscano questa fase delicata.
In politica ci sono tempi dove è giusto forzare (ne so qualcosa io stesso, e spesso l’ho fatto, specie quando le questioni avevano ricadute rilevanti per il Trentino), altri dove deve prevalere lo stare insieme. Oggi, con 200 comuni che si apprestano a votare, è senza dubbio il tempo della stabilità.
Poi, con calma, si potranno portare avanti, con regole nuove, tutte le candidature che si desiderano.
Per favore: fermiamoci e ripartiamo insieme.
Il Trentino ci guarda.