FARE MEMORIA: UN’OCCASIONE MANCATA
Nel solco di una consolidata attenzione ad alcune interpretazioni della storia locale, contrassegnate soprattutto da una spiccata sensibilità per una lettura pantirolese della stessa, la Presidenza del Consiglio provinciale ha “fortemente voluto” allestire, in via diretta, una mostra documentale dal titolo: “Difesa territoriale, valori e tradizioni nel Tirolo meridionale”, affidandone la cura ad alcuni appassionati cultori della materia.
Lo scopo dichiarato, per giustificare un simile evento, è quello di offrire “un importante contributo nella costruzione della memoria dell’identità trentina”, come affermato in un comunicato dell’Ufficio Stampa dell’Assemblea legislativa.
Il tema della memoria sembra ormai essere il leit-motiv di ogni evento pubblico, forse perché la stessa viene sempre più considerata come una merce acquistabile e manipolabile a misura delle convenienze contingenti. Eppure la memoria è altro, a partire dalla sua parzialità. Non esiste infatti una memoria univoca ed unidirezionale, non solo per quanto riguarda l’identità trentina, ma in genere per ogni avvenimento della storia trascorsa. Se per la cultura savoiarda, ad esempio, il processo unitario nazionale fu una conquista condivisa dal popolo e dalla monarchia, per la narrazione delle classi popolari – e soprattutto nel meridione italiano – si trattò invece di una guerra di aggressione che generò, a sua volta, fenomeni di rivolta come quelli del brigantaggio. E’ la memoria nazionale, ma interpretata in modo opposto e quindi non costituente il fondamento di una memoria identitaria nella quale tutti possano ritrovarsi. Lo stesso vale per la storia locale ed in tal senso, affermare l’esistenza di un’unica “memoria dell’identità trentina”, appare quindi piuttosto azzardato e funzionale solo ad un mai sopito tentativo di lettura della storia di questa terra, attraverso le lenti delle appartenenze ideologiche e della propaganda politica, anziché della ricerca di quella somma di verità parziali che costituiscono il ricordo del nostro cammino nei secoli.
Già si era avuto sentore di una certa inclinazione pantirolese nell’esame della storia patria, da parte dell’attuale Presidenza del Consiglio provinciale quando la medesima “fortemente volle” una discussa mostra di oggettistica imperniata sull’esplorazione del significato della devozione tirolese al Sacro Cuore di Gesù ed oggi quella predilezione pare trovare conferma in quest’evento espositivo.
L’iniziativa ha in sé, senza dubbio, più di un pregio e disvela alcuni risvolti di interesse storico, confermando ad esempio l’esistenza di autonome milizie territoriali locali anche in epoca antecedente l’emanazione del “Landlibell” del 1511.
Ciò nonostante, non sfugge l’evidenza dell’intento ideologico e propagandistico che si cela dietro quest’appuntamento e che è cosa ben diversa dall’obiettività dell’analisi storica dei fenomeni, perché riduce le complessità degli avvenimenti occorsi alla veicolazione di un singolo messaggio, fortemente connotato. Non a caso la mostra non viene allestita dalle pregevoli istituzioni di ricerca e divulgazione storica del territorio (Università degli Studi – Fondazione Museo Storico del Trentino – Società degli Studi Trentini di Scienze Storiche – Laboratorio di Storia di Rovereto ecc.), bensì da alcuni appassionati cultori della tematica, appannando in tal modo quella necessaria aurea di scientificità alla quale un’Istituzione come il Consiglio provinciale, che per sua stessa natura deve sempre saper rimanere “super partes”, non può rinunciare.
Certamente si tratta di una scelta legittima, anche se colpisce non poco la monocorde “Sensucht” che permea il racconto espositivo, ma qualche approfondimento ulteriore di natura scientifica forse non sarebbe risultato stonato, ad esempio interrogandosi sulla fragilità di quel Sacro Romano Impero e della stessa dominazione asburgica che parve spesso in difficoltà nel difendere i suoi territori, al punto tale da doversi affidare anche a milizie territoriali di volontari, peraltro non assimilabili a nessun tipo di effettiva forza armata e capaci di affidarsi più alla guerriglia che non allo scontro militare vero e proprio.
Ma non solo.
Una sensibilità autentica e disinteressata verso gli episodi salienti della storia dei “bersaglieri tirolesi” avrebbe potuto considerare, ad esempio, oltre al primierotto Bosio ed al fiemmese Giacomelli, anche l’esperienza ed il sacrificio del capitano Ottavio de’ Bianchi, nobile ufficiale austriaco legato alla famiglia Hippoliti di Borgo Valsugana che, coevo di Andreas Hofer ed al pari di quest’ultimo, organizza una logorante guerriglia dietro le linee napoleoniche, anche avvalendosi di milizie territoriali locali. Ma di questo fedele suddito di Casa Asburgo, di provenienza e cultura lombarda e fucilato dai francesi, esattamente come Hofer e con le medesime imputazioni, la memorialistica locale, a parte una pregevole ricerca di Franco Gioppi di qualche anno fa, non si è mai occupata. Eppure anch’essa è storia degli “Schützen” del “Welsch Triol”, ma forse è meno conveniente della celebrazione del mito hoferiano che, senza dubbio, garantisce qualche remunerazione maggiore, almeno in termini di consenso.
Allo stesso tempo, nessuno nega come, nel primo dopoguerra e poi con il fascismo, una pesante coltre di silenzio colpevole è calata sulla storia dei vinti, come ci ricordano gli studi approfonditi di storici di valore, da Mario Isnenghi a Quinto Antonelli e Diego Leoni, mentre si è andato via via esaltando, in un crescendo nazionalistico, il movimento irredentista, scordando di evidenziarne però il carattere urbano, minoritario ed elitario nel contesto della popolazione trentina. Solo negli ultimi anni ed in virtù di un prezioso lavoro di ricerca storica, le cose pare stiano lentamente ritornando nel loro alveo di verità comprovata, l’unico dal quale trarre i segni di una identità che fu sempre ed è tutt’ora plurale e composita.
In questo senso quindi andrebbe anche riletta la memoria tragica del massacro della gioventù trentina, che vestiva la divisa dell’imperial regio esercito sul fronte galiziano nel 1915. Si trattava di ragazzi provenienti anche dalle milizie territoriali e dalle Compagnie di tiro al bersaglio, una intera generazione sacrificata senza alcun senso e scrupolo proprio da quell’impero asburgico che, forse un po’ a sproposito, vien ancor oggi vagheggiato come una impareggiabile stagione felice dell’ “Heimat” tirolese. Ci si dimentica però del disprezzo complessivo con il quale gli ufficiali tedeschi e ungheresi consideravano quei “Welshtiroler” montanari ed ottusi che comprendevano a fatica gli ordini in tedesco; che avevano scarse attitudini al combattimento e che vivevano l’orrore della guerra con lo sguardo sempre rivolto verso la propria valle, che era l’unica vera “Heimat” conosciuta e riconosciuta.
Insomma, per una Istituzione che rappresenta tutti – e non solo le personali inclinazioni dell’attuale maggioranza politica – forse raccontare anche tutto questo avrebbe rappresentato quell’effettivo contributo culturale e quella equidistanza ideologica irrinunciabili e che devono caratterizzare l’azione di Istituzioni come questa, ma purtroppo così non è stato, sprecando così anche l’ennesima occasione di dialogo, anziché di contrapposizione.
Se poi il Presidente del Consiglio afferma pubblicamente che “contribuire al rafforzamento della memoria della gente trentina attorno alle sue radici storiche è davvero lo scopo più nobile del proprio mandato di Presidente dell’Assemblea legislativa”, allora, a maggior ragione, egli non può ridurre quella memoria ad episodi, per quanto importanti, ma marginali nel quadro della grande narrazione dei decorsi secoli trentini, ma dovrebbe prestare magari qualche attenzione anche ad altre componenti delle nostre complesse radici storiche: dall’evangelizzazione di queste valli alle rivolte contadine; dalle Carte di Regola all’epoca conciliare e rinascimentale; dai dibattiti dell’Illuminismo roveretano alle grandi intuizioni del podestà Oss Mazzurana e via dicendo. Solo così forse si potrebbe dimostrare un senso culturale e non politico nell’opera di costruzione della memoria identitaria del nostro territorio.
Tutto ciò premesso, si interroga il Presidente del Consiglio provinciale per sapere:
- sulla scorta di quali motivazioni scientifiche e sulla base di quali istanze culturali si è deciso di promuovere ed allestire la mostra citata in premessa;
- sulla base di quali criteri e di quali “curricula” si sono scelti i curatori della suddetta mostra;
- quali costi, nel dettaglio di ogni singola voce, sono stati sostenuti dal Consiglio provinciale per tale evento, ivi compresi quelli per la circuitazione sul territorio provinciale della mostra e la promozione dell’evento attraverso i mass media;
- qual è stato, se c’è stato, il coinvolgimento scientifico delle principali istituzioni locali deputate allo studio ed alla ricerca storica;
- a quanto ammonta il numero totale dei visitatori e la media giornaliera degli ingressi, posto che si è anche prolungato il periodo di esposizione, senza chiarire se tale scelta è imputabile ad un eccesso di domanda o ad una limitatezza palese della stessa.
A norma di Regolamento si richiede risposta scritta.
Distinti saluti.