Con la recente scelta del movimento “Agire per il Trentino” di sciogliersi, per confluire nella destra radicale rappresentata da “Fratelli d’Italia”, si è aperto un dibattito sulla possibile presenza in Giunta regionale del rappresentante di una forza politica che non rinnega, anzi si ispira, all’ideologia fascista.
Non spetta certamente a me giudicare le opzioni altrui, anche se apprezzo chi, comprendendo la situazione creatasi, si è dichiarato pronto a dimettersi da un importante ruolo istituzionale. Quello che mi preme qui sottolineare è altro.
Si tratta infatti di una riflessione che va oltre il caso specifico e che investe la storia stessa della nostra regione, dove il lascito del fascismo è stato oltremodo pesante e tragico. Dalla marcia su Bolzano all’assassinio di Innerhofer, dal forzato processo di italianizzazione alle tracce di intolleranza e violenza lasciate qui da Starace, il ventennio ha evidenziato una volontà di conquista e di sopraffazione delle “terre redente”, anziché di equilibrata convivenza, in un processo culminato con il dramma delle “Opzioni” prima e dell’ Alpenvorland poi.
Nella profondità di quei solchi scavati dalla storia, si è così disvelata anche la totale incompatibilità culturale e sociale con la vocazione secolare di queste geografie alpine, fondate sulle peculiarità dell’autogoverno e della delega territoriale dei poteri, cioè su tutto ciò che confligge apertamente con la concezione centralista e statalista tipica del nazionalismo – i cui tratti ritroviamo oggi nel “sovranismo” – e dei regimi che da essi sono generati.
Forti di questa consapevolezza, Degasperi e Gruber, sottoscrissero quel patto che porta il loro nome, ponendo le basi organizzative di una “coabitazione” capace di generare profitti e benefici per le nostre due principali comunità, sotto l’insegna di quell’autonomia speciale che è anzitutto accettazione della diversità, apprendimento alla tolleranza, valorizzazione dell’equilibrio prima ancora che dell’unificazione.
La speciale autonomia attribuita ai diversi gruppi etnici non va considerata, né in chiave storica né in chiave politica, come un “marchingegno” volto ad incapsulare possibili tendenze centrifughe della minoranza germanofona o ad agganciare organicamente al carro dell’autonomia la popolazione trentina. Le due comunità, piaccia o meno, hanno sempre avuto un comune destino e sono maturate nel contesto di secolari forme di autogoverno del territorio e nel quadro degli accadimenti di un’Europa che, attraversando ripetutamente queste valli, ne ha segnato i profili continentali di apertura e dialogo.
Negare la possibilità di portare al governo della Regione posizioni politiche in netto contrasto con questa storia, non significa porre veti occasionali e legati al procedere della politica, bensì portare in luce uno scontro di narrazioni e di concezioni stesse della vita e delle istituzioni, reso ancor più acuto, nel dopoguerra, dal mancato riconoscimento storico degli errori compiuti dal fascismo anche sul piano locale.
Considerazioni che si collocano peraltro all’interno di un quadro politico nel quale il posizionamento della Lega trentina – che predilige l’asse lombardo veneto, per l’affinità partitica, rispetto alla collaborazione istituzionale con la Provincia di Bolzano – crea costanti tensioni e divisioni strategiche a livello regionale. Pensiamo solo all’A22, a Mediocredito, alle Olimpiadi del 2026, ad Euregio plus.. questioni che incideranno pesantemente sul futuro della nostra comunità.
In questo contesto, la posizione assunta dalla S.V.P. – e condivisa dalle forze democratiche ed autonomiste sudtirolesi e trentine – ha una sua ragion d’essere obiettiva e raccoglie una complessità non riducibile al dileggio gratuito con il quale un esponente nazionale di F.d.I. ha commentato le opinioni della S.V.P.. Trasformare ancora una volta una vicenda dai molti risvolti e dalle ramificate radici in uno scambio di insulti non favorisce il dialogo, mentre contribuisce allo scadimento di un dibattito che meriterebbe ben altre considerazioni.
La storia non passa mai invano e nonostante spesso la sua lezione non sia recepita, essa non smette di parlarci e di indicare la strada delle riconciliazioni e del confronto; una strada che non può prescindere dal prendere atto delle ragioni dell’Altro, anche quando ciò comporta una rilettura del nostro percorso politico e valoriale. Quando questo non avviene, lo spazio delle incomprensioni si dilata e la politica stessa viene immolata sull’altare manicheo delle verità assolute. Non è questo che serve alla nostra terra ed al nostro futuro.
Luca Zeni