11 set 5
L’11 settembre per la mia generazione ha segnato un cambio emotivo e di prospettiva assoluto.
La caduta del muro di Berlino, seguita da un’Europa senza frontiere, aveva avviato una fase di speranza, l’idea di un mondo multipolare che, grazie a rapporti commerciali e relazioni aperte, era destinato a portare libertà e benessere in maniera diffusa. Era l’epoca della terza via, che con il senno di poi si è rivelata fallace perché aveva fatto oscillare troppo il pendolo verso una globalizzazione senza regole e un multiculturalismo senza approfondimento, dimenticando il rischio di diseguaglianze ingiuste.
Vedere le due torri colpite da quegli aerei in diretta tv fu uno shock indimenticabile. Eravamo bloccati davanti allo schermo, increduli, sofferenti di fronte al dolore di tante famiglie distrutte mentre vivevano una vita come la nostra.
Da allora il mondo è stato più disilluso, gli Stati hanno ripreso a tutelare in maniera più individuale i propri interessi geopolitici, anche per la crescita di un Paese ambizioso e totalitario come la Cina.
Nel frattempo la ricerca di radici e identità ha spesso fatto prevalere visioni chiuse e integraliste rispetto a una relazionalità matura che è la sola strada che può essere seguita per un mondo più giusto.
20 anni, ma il percorso da fare è ancora lungo.
Ps: le foto sono del novembre 2019 quando, in occasione della maratona di New York, ho portato i miei ragazzi a Ground Zero. È stato il momento più emozionante del viaggio. Le fontane con i nomi di tutte le persone morte quel giorno lasciano senza fiato, e il museo ha una solennità quasi sacrale. Una visita doverosa per far conoscere anche alle generazioni più giovani quegli eventi.
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